;)
L’art 4 della Costituzione così dispone:
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Spiegazione dell’art. 4 della Costituzione
All’art. 4 della Costituzione è delineato il diritto al lavoro.
Si tratta di un diritto fondamentale, che ha valenza centrale nel tessuto costituzionale.
A dimostrazione di ciò, basta considerare che il principio lavorista è scolpito anche all’art. 1 della Costituzione, con cui l’art. 4 va letto in combinato disposto.
Il lavoro come diritto
Il lavoro è, dunque, un diritto primario dell’individuo e per questo motivo lo Stato ha il compito di promuovere le condizioni che lo rendano effettivo.
Si ritiene che la norma in questione abbia carattere programmatico, ovvero che la stessa costituisca un obiettivo, un programma per lo Stato.
L’obiettivo che lo Stato deve porsi è quello della piena occupazione.
Di conseguenza, devono essere assunte tutte le misure idonee al conseguimento di questo obiettivo primario.
Il lavoro come dovere
Il lavoro non è soltanto un diritto ma anche un dovere.
Questo vuol dire che ognuno deve attivarsi nello svolgimento di un’attività.
Ciascuno, attraverso lo svolgimento di un’attività lavorativa, è tenuto a concorrere al progresso materiale e spirituale della società.
Casistica giurisprudenziale
Di seguito, alcune sentenze sul diritto al lavoro:
- Corte di Cassazione, sez. lavoro, sentenza 10 marzo 2015, n. 4757: “L'esercizio dell'attività economica privata, garantito dall'art. 41 Cost., non è sindacabile nei suoi aspetti tecnici dall'autorità giurisdizionale ma deve svolgersi nel rispetto dei diritti al lavoro e alla salute, sicché non viola la norma citata il giudice che dichiara illegittimo il licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni assegnate, senza che il datore di lavoro abbia accertato se il lavoratore potesse essere addetto a mansioni diverse e di pari livello, evitando trasferimenti di altri lavoratori o alterazioni dell'organigramma aziendale”.
- Corte di Cassazione, sez. L, sentenza 24 aprile 2023, n. 10811: “La sottoposizione di un rapporto di lavoro con un ente pubblico non economico alla disciplina di un contratto collettivo di lavoro di diritto privato, con riferimento ad attività istituzionali del medesimo ente, non comporta il fuoriuscire di tale rapporto dall'ambito del lavoro pubblico privatizzato, pertanto, salva espressa e specifica previsione contraria da parte della norma di legge, trovano comunque applicazione le regole generali di cui al d.lgs. n. 165 del 2001; ne consegue che, in applicazione dell'art. 52 del medesimo d.lgs., l'esercizio di fatto di mansioni superiori a quelle di formale inquadramento, mentre dà diritto alle corrispondenti retribuzioni, non è utile all'acquisizione definitiva della qualifica superiore. (Principio espresso rispetto al personale operaio dell'Agenzia Regionale per le Attività Irrigue e Forestali (ARIF) il cui rapporto, ai sensi dell'art. 12, co. 3, l.r. Puglia n. 3 del 2010, nel testo "ratione temporis" applicabile, è regolato dal contratto collettivo nazionale privatistico per gli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale e idraulico-agraria)”.