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26 Luglio 2023
9:00

Violenza sessuale: cosa dice il reato, come denunciare, quale tutela per la vittima

Il reato di violenza sessuale è stato aggiornato ad opera del Codice Rosso e rinvia alla sua disciplina nell'articolo 609 bis del Codice Penale. La violenza sessuale ha diverse sfumature - semantiche, edittali per la pena e normative. Vediamo le particolarità.

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Violenza sessuale: cosa dice il reato, come denunciare, quale tutela per la vittima
Dottoressa in Giurisprudenza
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Il reato di violenza sessuale è punito dall’articolo 609 bis del Codice Penale come la condotta illecita compiuta da chi con violenza, minaccia o abusando della propria posizione, costringe la vittima a compiere o subire atti sessuali senza il suo consenso, violando la libertà sessuale altrui.

La libertà sessuale è un aspetto irrinunciabile della libertà individuale,  per questa ragione è dovere dello Stato tutelare e punire qualsiasi forma di violenza in grado di violare e minacciare la libertà sessuale.

La disciplina della violenza sessuale, così come noi oggi la conosciamo, è stata riformulata dalla  Legge 15 febbraio 1996, n. 66 la quale ha riconosciuto la fattispecie come una delle figure autonome di reato contenute nella parte dedicata ai delitti contro la libertà sessuale: ovvero quei reati capaci di offendere il pudore, l’onore e la sfera intima della persona offesa e non più relegati nella distinzione dei reati contro la moralità pubblica e il buon costume precedentemente prevista dal Codice Rocco.

Importanti modificazioni, come la pena più severa e l’estensione del termine massimo entro cui poter denunciare, sono state previste dal cd. Codice Rosso, cioè la Legge 19 luglio 2019, n. 69.

Cosa si intende per violenza sessuale

Per violenza sessuale si intende qualunque atto, contatto o minaccia sessualmente orientata capace di vincere la resistenza fisica e psicologica della vittima, inducendola a subire senza consenso un abuso sessuale, cioè un comportamento che altrimenti non vorrebbe.

Definita anche con i termini stupro e violenza carnale, il delitto rappresenta una forma di prevaricazione intenzionale che l’autore pone in essere al fine di assoggettare e annientare la vittima: chi subisce la violenza sessuale è vittima della coercizione della volontà.

Nel corso della storia, la violenza sessuale ha assunto anche il carattere di vera e propria arma di guerra, usata cioè dagli eserciti nemici come forma di umiliazione e sottomissione contro le popolazioni occupate e colonizzate.

Per questa ragione, la Comunità internazionale ha indicato i crimini sessuali come crimini riconosciuti a livello internazionale.

Lo stupro, infatti, è anche oggetto del diritto internazionale umanitario – ovvero la branca delle norme di diritto internazionale che disciplinano i conflitti armati, tutelando le vittime di guerra e più in generale i diritti inalienabili dell’essere umano.

A partire dalla Quarta Convenzione di Ginevra del 1949, (ovvero la Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra) e dai successivi lavori estensivi operati dai Protocolli Aggiuntivi del 1977 relativi ai conflitti interni, la violenza sessuale in tempo di guerra è stata ricompresa tra “gli oltraggi alla dignità della persona, specialmente per i trattamenti umilianti e degradanti come lo stupro, la prostituzione forzata e qualsiasi offesa al pudore”.

La violenza sessuale è quindi intesa dal diritto internazionale come una grave violazione (letteralmente, “grave breaches”) perseguita dalla Corte penale internazionale dell’Aja e condannata dagli Stati Membri delle Nazioni Unite.

Differenza tra stupro, abuso sessuale e violenza sessuale

Con i termini stupro, abuso sessuale, violenza carnale e violenza sessuale viene descritto lo stesso tipo di reato basato su una attività sessuale senza consenso di chi la subisce.

In diritto, infatti, non esiste una vera e propria distinzione semantica poichè tutte assimilabili al reato di violenza sessuale.

Perchè un rapporto sessuale sia legalmente e socialmente accettabile è necessario e fondamentale il consenso di entrambe le persone.

La definizione dello stupro assume connotazioni diverse a seconda della legge dello Stato di riferimento. In ogni caso, con il termine stupro si fa riferimento all’aggressione sessuale non consensuale durante la quale si verifica l’atto della penetrazione sia con organi sessuali, sia con oggetti.

Con il termine abuso sessuale si fa riferimento al coinvolgimento in pratiche sessuali di una persona che, per condizioni fisiche o piscologiche, non è in grado di esprimere liberamente il proprio consenso all’atto.

La vittima può infatti essere limitata perché subisce una qualche forma di imposizione fisica o psicologica; oppure perché non ancora raggiunta la cd. età del consenso (ovvero il limite d’età previsto dalla legge e che riconosce alla persona la capacità di esprimere il proprio consenso all’avere rapporti sessuali).

Infine, l’espressione violenza sessuale fa riferimento a tutte le pratiche e attività idonee ad infliggere dolore e umiliazione nella vittima, la quale viene forzata ad avere un rapporto carnale senza il suo consenso.

La Legge 19 luglio 2019, n. 69, ovvero il Codice Rosso, ha però aggiunto tra i reati in tema di violenza di genere, anche:

  • Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, ex art. 612 ter c.p. (cioè, il revenge porn);
  • Deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”, ex art. 583 quinquies c.p.;
  • Costrizione o induzione al matrimonio”, ex art. 558 bis c.p.;
  • Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”, ex art. 387 bis c.p.

Statistiche vittime di violenza

Lo scorso 20 giugno 2023, l’ISTAT ha presentato la sesta edizione del Rapporto sugli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile in accordo con l’Agenda 2030 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ovvero l’aggiornamento delle statistiche e dell’analisi delle misure intraprese dall’Italia per adeguarsi agli SDGs (Sustainable Development Goals).

Tra gli indicatori presi in esempio, spicca l’analisi del Goal 5 – Parità di Genere che fotografa dati allarmanti riferiti alla violenza sessuale subita.

Nel corso della propria vita, il 31,5% di donne tra i 16 e i 70 anni avrebbero subito forme di violenza fisica o sessuale.

Di queste, il 21% (per essere più chiari, 4 milioni e 520 mila) sono state vittime di violenza sessuale.

Il 5,4% di loro avrebbe subito lo stupro o un tentato stupro.

Il Rapporto prosegue “gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici”, così come “il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute, il 2,5% da colleghi di lavoro”.

Cosa dice il diritto italiano?

L’articolo 609 bis del Codice Penale disciplina il reato di Violenza sessuale come segue:

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”.

Per violenza si intende l’esercizio di qualunque forma di forza fisica, anche se non allo stremo della brutalità, tale da vincere la resistenza che la vittima oppone per difendersi.

Si deve intendere come violenza anche il compimento di un atto capace di limitare la libera determinazione della vittima, costringendola a subire atti sessuali contro la propria volontà.

Con il termine minaccia invece si fa riferimento all’espressione intenzionale di arrecare un danno alla vittima, a persone o a cose a questi vicine, al fine di forzare la volontà e indurla ad accettare qualcosa che non avrebbe voluto.

Infine, con abuso di autorità si intende l’uso illecito della propria posizione predominante (come ruolo sociale, professionale ecc.) con l’intenzione di porre la persona offesa in uno stato di soggezione e intimidazione tale da costringerla a compiere o subire atti sessuali.

La Corte di Cassazione, sezione III, con sentenza 5 giugno 2023, n. 23952 è intervenuta tracciando un solco importante a proposito della violenza come elemento materiale del reato, ovvero “nel reato di violenza sessuale, la violenza può estrinsecarsi, oltre che in una sopraffazione fisica, anche nel compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell'impossibilità di difendersi”.

A questo proposito, secondo la Suprema Corte, la violenza sessuale verrebbe perpetrata anche in quei contesti in cui gli atti siano compiuti dal carnefice in modo così estemporaneo e rapido, tali da cogliere di sorpresa la vittima che non farebbe in tempo a esprimere il proprio dissenso.

Sono, quindi elementi costitutivi del reato:

  • il compimento di atti sessuali, “tra questi vanno ricompresi anche i toccamenti, i palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime della vittima, suscettibili di eccitare la concupiscienza sessuale dell’autore anche se in modo non completo e/o di breve durata” (Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 4 luglio 2000, n. 7772);
  • la violenza o la minaccia, tale da limitare la determinazione della volontà della vittima;
  • l’abuso di autorità, ovvero lo sfruttamento e l’approfittamento della l’altrui posizione di inferiorità;
  • il consenso della vittima, cioè l’assenza di condizionamenti e coercizioni della volontà della persona offesa;
  • l’abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica, si pensi infatti ai minorenni che non hanno ancora raggiunto l'età del consenso o chi sfrutti le credenze esoteriche altrui, o ancora la violenza perpetrata su una persona inferma di mente;
  • l’inganno mediante sostituzione di persona, per esempio fingendosi un medico o attribuendosi altra professionalità.

Il consenso nella violenza sessuale

L’espressione del proprio consenso o comunque del proprio rifiuto (dissenso) nell’ambito dei rapporti sessuali, assume una rilevanza fondamentale.

Esprimere liberamente la propria volontà a compiere o voler negarsi ad un atto sessuale è un diritto inviolabile che nessuno deve limitare, alterare o estorcere.

Infatti, il dissenso della persona offesa è un elemento costitutivo del reato di violenza sessuale, di cui all’art. 609 bis c.p., sebbene tanto nella teoria quanto nella pratica del diritto (cioè in dottrina e in giurisprudenza), sia un aspetto che nel tempo è stato particolarmente discusso a proposito della sua manifestazione.

Riportiamo di seguito alcuni casi particolari sul tema e sulle sue diverse caratteristiche:

  • nel caso del presunto consenso per i rapporti successivi al primo “L’eventuale infatuazione maturata dalla vittima dopo il primo rapporto, non può essere ritenuta a priori successivamente come prova del suo consenso a subire e compiere atti erotici”, Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 19 febbraio 2014, n. 7767;
  • integra il reato di violenza sessuale anche la revoca del consenso della persona offesa durante il rapporto, ovvero “il consenso della vittima agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità, per questa ragione il consenso della vittima, originariamente prestato, venga poi meno a causa di un ripensamento oppure per la non condivisione delle modalità del rapporto o delle sue forme, connota di violenza la condotta di chi prosegua ugualmente il rapporto sessuale”, Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 5 aprile 2019, n. 15010;
  • a proposito di un iniziale dissenso esplicito e un successivo comportamento inerme della vittima, “non è necessario che il dissenso della vittima si manifesti per tutta la durata dell’esecuzione del reato, poiché è sufficiente che si manifesti all’inizio della condotta penalmente rilevante: gli imputati non possono invocare a propria difesa il sopraggiungere di un consenso presunte e tacito”, Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 29 febbraio 2000, n. 2512;
  • il dissenso si ritiene sempre implicito ogni qualvolta l’atto sessuale sia compiuto come una coercizione della vittima e anche ricorrendo a modi atti a inibirne la resistenza, “si configura una vera e propria sopraffazione nei confronti della vittima che, ridotta a strumento di soddisfazione sessuale, sia stata indotta a bere una quantità di bevande alcoliche tale da indebolire evidentemente il suo aspetto psichico”, così la Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 27 gennaio 2004, b. 2646;
  • si parla di violenza sessuale anche nel caso in cui la condotta sia compiuta dal partner, “integra la violazione dell’art. 609 bis c.p. (ovvero, la violenza sessuale) qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idonea ad incidere sull’altrui libera determinazione e a nulla rilevando l’esistenza di un rapporto di coppia coniugale o paraconiugale tra le parti, dal momento che non esiste all’interno di questo rapporto un “diritto all’amplesso”, nè un conseguente potere di esigere o di imporre una prestazione sessuale al partner”, Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 26 marzo 2004, n. 14789;
  • non è possibile presupporre il consenso della vittima neppure nel caso di suoi commenti allusivi, “la sussistenza del consenso all’atto sessuale deve essere verificata in relazione al momento stesso, sicchè è irrilevante l’antecedente condotta provocatoria tenuta dalla persona offesa”, in questo senso Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 4 marzo 2022, n. 7873;
    è configurabile il reato di violenza sessuale anche nel caso di rapporto forzato con una prostituta, “anche nel caso in cui  si eserciti la violenza o la minaccia per costringere una prostituta a consumare un rapporto sessuale non consensuale, in quanto il principio di libera autodeterminazione trova applicazione anche nei suoi confronti, attenendo esclusivamente a quest’ultima la scelta di vendita del proprio corpo”, Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 25 maggio 2010, n. 19732.

La rilevanza del consenso assume un significato importantissimo anche nelle dinamiche più delicate, dove la violenza sessuale viene perpetrata ai danni del partner.

Vediamo insieme le particolarità.

La violenza sessuale contro il partner

Sono 2 milioni e 800 mila le donne che dichiarano di aver subito violenza sessuale da parte del partner o dell’ex, secondo il Rapporto ISTAT dello scorso giugno 2023.

La violenza sessuale, infatti, non conosce contesto o sfera sociale e spesso, in maniera allarmante, il rapporto di coppia viene interpretato come un’implicita autorizzazione all’abuso dell’altro.

Lo stupro da parte del partner, o più in generale da chi è legato alla vittima da un rapporto di intimità, può assumere diverse sfaccettature:

  • i comportamenti persuasivi, subdoli e sottili, che spingano il partner a sottostare ad atti che altrimenti non avrebbe compiuto; il rifiuto di utilizzare metodi contraccettivi;
  • inibire volontariamente la volontà del partner inducendola ad assumere sostanze stupefacenti o alcolici;
  • abusare dello stato di dipendenza dall’assunzione di psicofarmaci; trasformare in itinere l’amplesso in un atto doloroso e violento contro la resistenza dell’altro; consumare il rapporto sessuale mentre la vittima è addormentata o in uno stato di incoscienza.

Atti sessuali con minorenni

La legge interviene anche a proposito della cd. età del consenso, o meglio il compimento degli anni a partire dai quali l’individuo è considerato maturo e orientato a compiere autonomamente le proprie scelte, ovvero a essere d’accordo al rapporto sessuale con coscienza e volontà.

Mentre nel resto del mondo l’età del consenso si aggira attorno ai 16 anni, l’ordinamento italiano invece presume che il compimento dei 14 anni renda la persona consapevole della propria volontà sessuale.

Gli atti sessuali con minorenni sono puniti dall’articolo 609 quater del Codice Penale, che sanziona il compimento di ogni atto sessuale che coinvolga chi non ha ancora compiuto quattordici anni dal momento che la legge intende tutelare il corretto sviluppo della personalità del minore.

E’ fondamentale però che il minorenne sia consenziente al momento del rapporto sessuale e che il suo consenso perduri per l’intera durata dell’atto.

Nel diverso caso invece di un rapporto sessuale con chi non ha ancora compiuto 14 anni, la legge ritiene del tutto irrilevante il fatto che il minore fosse consenziente all’atto, poichè viene punito il fatto di aver approfittato di un individuo non ancora capace, maturo e consapevole del proprio corpo.

L’art. 609 quater c.p., prosegue nella stessa direzione e punendo anche il caso di rapporti sessuali – ancorchè consenzienti – intrattenuti con chi non abbia ancora compiuto 16 anni e che sia affidato all’adulto per ragioni di istruzione, di educazione, di custodia, di parentela o di rapporto di adozione.

Per esempio, l’insegnante che abbia rapporti sessuali con l’alunno consenziente che però ha 15 anni. Oppure l’apprendista che non ha ancora sedici anni e che viene affidato per ragione di istruzione e guida del mestiere all’apprendista, intrattenendo una relazione sessuale.

Diversa ipotesi è invece l’aggravante specifica prevista dall’ordinamento all’articolo 609 ter del Codice Penale, che punisce il rapporto sessuale compiuto ai danni di chi non ha ancora compiuto 18 anni.

La circostanza aggravante interviene punendo colui che abusa della propria posizione dominante, inducendo con modi persuasivi il minore ad accettare in maniera succube e passiva la violenza.

L’art. 609 ter c.p., assume rilevanza nel momento in cui l’atto sessuale venga compiuto con violenza, minaccia o abuso di autorità in danno del minorenne.

Come viene punito il reato di violenza sessuale

Grazie all’intervento normativo compiuto dal Codice Rosso nel 2019, la cornice edittale (cioè, la pena applicabile) è stata inasprita. Prima, infatti, il reato di violenza sessuale era punito da un minimo di 5 anni fino al massimo di 10.

Oggi, con l’attuale formulazione della norma, il colpevole di stupro è punito con la reclusione da un minimo di 6 fino al massimo di 12 anni.

L’articolo 609 bis del Codice Penale punisce il reato di violenza sessuale:

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”.

La pena prevista però può anche essere aumentata nel caso in cui ricorrano le circostanze aggravanti previste dall’art. 609 ter c.p.

La norma dice che le pene applicate per la violenza sessuale sono aumentate di un terzo se il reato è commesso:

  • da parte di chi è ascendente (per esempio, i nonni), genitore, adottivo o tutore della vittima;
  • ricorrendo alle armi, alle sostanze stupefacenti o narcotiche;
  • da parte di una persona che finga di essere pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio;
  • nel caso in cui la vittima sia sottoposta a limitazioni della libertà (ovvero, detenuto);
  • la persona offesa non ha ancora compiuto 18 anni e l’atto è compiuto con violenza;
  • in danno di una donna in stato di gravidanza;
  • da chi è legato, o è stato legato, alla vittima da una relazione affettiva  (il coniuge, il separato, il divorziato, il convivente, l’ex fidanzato);da parte di chi fa parte di un’associazione a delinquere per agevolare l’attività;
  • se dal fatto deriva un pregiudizio al minorenne.

Ulteriormente, la pena in caso di violenza sessuale può anche essere aumentata della metà o raddoppiata nel caso indicato all’articolo 609 duodecies del Codice Penale, ovvero se il reato sia stato commesso “con l’utilizzo di mezzi atti ad impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche”.

Cosa fare in caso di violenza sessuale subita o vissuta da testimoni

Cosa fare se si subisce una violenza sessuale? 

E’ fondamentale presentare la propria querela alle Autorità competenti, perchè la violenza sessuale è un reato procedibile a querela della persona offesa.

Una volta sporta, la querela è irrevocabile.

E’ possibile denunciare la violenza sessuale all’Autorità entro 12 mesi.

Cosa fare se qualcuno ci confessi di aver subito uno stupro?

Lo stupro non è solo un fenomeno giuridico, punito e perseguito dalla legge, ma è anche un fenomeno sociale a causa del quale la vittima spesso viene colpevolizzata per quanto ha subito.

Nonostante le aspre condanne che la violenza sessuale subisce dalla legge italiana e dalla Comunità internazionale, la cultura dello stupro è ancora molto forte: troppo spesso il messaggio che la vittima riceve è che l’uso della forza sia un gesto legittimo durante il corteggiamento, oppure che l’atteggiamento inerte della vittima durante la violenza sessula sia sinonimo di connivenza. Sbagliato!

Per questa ragione molte vittime non trovano il coraggio di denunciare l’abuso sessuale non sentendosi ascoltate dalla società.

Aiutare chi ha subito una violenza è il primo passo per reagire.

La legge sanziona anche la posizione di chi assiste materialmente al reato e sceglie di non intervenire, non impedendo la violenza.

E’ il caso, per esempio, dei genitori che non impediscono la violenza sessuale di cui sono a conoscenza; oppure chi assista alla violenza da una distanza tale che gli consenta una qualche reazione (anche allertando le forze dell’ordine).

In questi casi si parla di responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento, che si caratterizza per il dolo eventuale – ovvero il “testimone” compie un’omissione lecita ma prevedendo e accettando che le conseguenze dannose si verifichino.

Cosa fare subito dopo aver subito una violenza sessuale?

La violenza sessuale lascia sulla vittima delle tracce, delle evidenze, utili a sostenere la denuncia.

E’ bene ricordare che le tracce biologiche lasciate da chi aggredisce sessualmente rappresentano per l’Autorità giudiziaria delle prove fondamentali per rintracciare il colpevole.

La reazione tempestiva della vittima è quindi fondamentale.

Innanzitutto, recarsi immediatamente al Pronto Soccorso più vicino, dove il personale medico potrà accogliere e curare la vittima, accertando la presenza di campioni biologici dell’aggressore (sperma, capelli, frammenti cutanei ecc.), ricorrere alla contraccezione di emergenza entro le 24 ore dallo stupro che è un diritto della vittima.

Il referto medico dovrà documentare accuratamente e dettagliatamente le lesioni subite dalla vittima, la presenza di ecchimosi, tagli e ferite. Così come provare i segni indiscutibili della violenza sessuale.

Cosa succede dopo la denuncia per violenza sessuale

Dopo aver presentato la denuncia-querela per la violenza sessuale subita, l’Autorità giudiziaria avrà ricevuto l’input per dare avvio alle indagini.

Il reato descritto dalla vittima verrà iscritto nel cd. Registro delle notizie di reato e verrà nominato il Pubblico Ministero competente a guidare l’attività investigativa.

Le indagini preliminari si svolgono entro il lasso di tempo necessario all’autorità per ricostruire il fatto-reato segnalato dalla persona offesa.

A questo proposito, è fondamentale richiamare l’orientamento granitico della giurisprudenza secondo cui le dichiarazioni della persona offesa, ovvero la vittima del reato, possono essere ritenute anche da sole come fondamento della responsabilità penale dell’imputato (Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sent. n. 41461/2012 e Corte di Cassazione, sez. III, sent. n. 4343/14).

La PG, cioè la polizia giudiziaria, collezionerà tutti gli elementi utili a verificare la fondatezza del reato di cui ha ricevuto notizia, raccogliendo le prove (come per esempio il referto medico del Pronto Soccorso presso il quale la vittima si è recata, eventuali riprese audio e video dei luoghi, ascoltare le persone informate e i testimoni ecc.).

Una volta concluse le indagini preliminari, se gli elementi raccolti sono sufficienti e solidi a poter instaurare il processo in Tribunale, il Pubblico Ministero notificherà all’indagato l’avviso della conclusione delle indagini a suo carico.

Una volta ricevuto l’avviso di conclusioni delle indagini preliminari, ai sensi dell’articolo 415 bis del Codice di Procedura Penale, l’indagato avrà 20 giorni di tempo per presentare memorie difensive o chiedere al P.M. di essere ascoltato.

Successivamente il Pubblico Ministero potrà scegliere se formulare la richiesta di rinvio a giudizio, con cui si darà il via al processo se gli elementi raccolti sono bastevoli, oppure in senso opposto chiedere l’archiviazione del reato.

La persona offesa, nel corso del processo in Tribunale, ha diritto a costituirsi parte civile al fine di chiedere il risarcimento dei danni subiti.

Quanto tempo si ha per denunciare una violenza sessuale?

L’articolo 609 septies del Codice Penale dispone che il termine per poter denunciare la violenza sessuale subita è di 12 mesi dal momento in cui il fatto è stato commesso.

E’ importante ricordare che, una volta presentata la denuncia all’Autorità, questa sarà irrevocabile.

Cioè non potrà più essere ritirata poichè si darà avvio alle indagini.

Anche il termine entro cui poter denunciare l’abuso sessuale è stato ampliato dalla Legge 19 luglio 2019, n. 69 (cd. Codice Rosso), infatti prima della legge era possibile denunciare solo entro 6 mesi a partire dal momento in cui si era subita la violenza.

Quando il reato di violenza sessuale è procedibile d'ufficio?

Nelle ipotesi previste ex art. 609 septies, il reato sarà procedibile d’ufficio: l’Autorità giudiziaria si attiverà autonomamente per perseguire la violenza e punire il suo colpevole.

La legge dispone che il reato di violenza sessuale sia procedibile d’ufficio quando:

  • lo stupro è comesso su chi non ha ancora compiuto 18 anni;
  • l’abuso sessuale è compiuto dall’ascendente, dal genitore (anche adottivo);
  • il colpevole del reato è il tutore o chi ha in custodia il minore per istruzione, educazione, vigilanza o cura;
  • il carnefice convive con il minore;
  • la violenza sessuale è commessa da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni (per esempio, da un poliziotto; da un medico);
  • la violenza è commessa durante il compimento di un altro reato per cui si procede d’ufficio.

Risarcimento danni per violenza sessuale

La vittima del reato, ovvero la persona offesa, ha diritto a costituirsi quale parte civile nel corso del processo penale.

Costituirsi parte civile è l’unica possibilità per il danneggiato dal reato di chiedere in sede penale il risarcimento del danno.

Nel caso della violenza sessuale il risarcimento può comprendere anche le lesioni personali subite, oltre che il danno morale e psicologico.

Quanto dura un processo penale per violenza sessuale?

A partire dalla recente Riforma Cartabia, il termine massimo di durata delle indagini preliminari è di 1 anno a partire dal momento in cui l’Autorità giudiziaria ha ricevuto la notizia del reato.

La durata media di un processo penale per il reato di violenza sessuale si aggira attorno ai 5-6 anni, tuttavia la durata potrebbe estendersi a seconda della gravità delle indagini e delle circostanze del reato.

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Virginia Sacco
Dottoressa in Giurisprudenza
Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli - Federico II, ho seguito le mie passioni specializzandomi prima in Intelligence istituzionale e, successivamente, in Diritto dell'Unione Europea. Nel corso degli anni ho preso parte a eventi, attività e progetti a livello europeo e internazionale, approfondendo i temi della cooperazione giudiziaria e del diritto penale internazionale. Su Lexplain scrivo di diritto con parole semplici e accessibili.
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