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2 Agosto 2023
13:10

Il reato di revenge porn: cosa prevede la legge, come tutelare la vittima

Il reato di revenge porn, di cui all'articolo 612 ter del Codice Penale, tutela la riservatezza e la libertà sessuale di chi si ritrovi vittima di uno scambio illecito delle proprie immagini senza consenso. Cosa dice la legge e come viene tutelata la privacy? Ecco cosa può fare la vittima.

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Il reato di revenge porn: cosa prevede la legge, come tutelare la vittima
Dottoressa in Giurisprudenza
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Il reato di revenge porn (un inglesismo che potremmo tradurre come “vendetta pornografica”)  è stato introdotto nell’ordinamento italiano dal cd. Codice Rosso, cioè la Legge 19 luglio 2019, n. 69 e disciplinato all’articolo 612 ter del Codice Penale.

Il reato punisce chiunque invii video o foto sessualmente espliciti e destinati a rimanere privati, senza chiedere il consenso alla persona ritratta. Ma anche chi riceva tali contenuti e, a propria volta, ne consenta la diffusione.

L’esigenza di poter tutelare la privacy, la libertà sessuale e la libertà individuale della persona vittima di revenge porn sta assumendo nel corso del tempo un’importanza primaria, considerando la crescita esponenziale dei social e i casi di cronaca che troppo spesso si susseguono.

Anche il Codice della privacy dedica attenzione alla fattispecie, arricchendo le competenze del Garante in tema di prevenzione di diffusione illecita di contenuti sessualmente espliciti, attraverso l’articolo 144 bis del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

L'art 612-ter del Codice Penale Italiano: il reato di Revenge Porn

Dopo il lavoro intrapreso dal Codice Rosso, con l’intenzione di tutelare maggiormente le vittime di violenza di genere e di violenza domestica, richiamando l’attenzione su un fenomeno tristemente dilagante, il legislatore ha adeguato anche il novero di reati previsti dalla legge.

Il Codice Penale si è arricchito dell’art. 612 ter c.p., rubricato come “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” , ovvero il cd. revenge porn.

La norma prevede che:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.

La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.

La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d'ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio”.

La legge è chiara nel far luce sulle condotte perseguite, ovvero punendo:

  •  la prima persona che per prima diffonde le foto o video destinati a rimanere privati;
  • chi li riceve e dopo li inoltri ad altri.

Non è quindi plausibile giustificarsi dicendo di aver semplicemente ricevuto da altri le immagini di qualcun altro, poiché la diffusione illecita – capace di danneggiare psicologicamente e moralmente una persona – è sempre considerata reato.

Il revenge porn, ad oggi, può essere considerato una sfumatura di un altro tipo di fenomeno sociale dilagante come il cyberbullismo che, attraverso l’uso dei social networks e delle app di messaggistica istantanea, permette l’invio a macchia d’olio di contenuti privati e su cui la vittima non ha il controllo, inerte assiste senza alcun potere di fermarle.

Il materiale pornografico e intimo che ritrae la vittima può finire nelle mani sbagliate, creando un clima di persecuzione, vergogna e aggressione alla sfera privata e psicologica della persona ritratta.

Le immagini e i video in cui viene mostrata la vittima possono essere sottratti in diverse circostanze, per esempio:

  • riprese consensuali da parte del partner in atteggiamenti intimi;
  • riprese non consensuali con spycam;
  • sexting, ovvero lo scambio di messaggi con cui la vittima si ritrae in atteggiamenti intimi e volutamente privati che invece vengono inoltrati ad altre persone;
  • tentativi di phishing e/o hacking dei dispositivi della vittima;
  • sextortion, ovvero la vittima viene adescata e dopo ricattata per evitare l’invio dei suoi contenuti privati.

Le aggravanti del revenge porn

Le circostanze aggravanti del reato di revenge porn sono indicate rispettivamente al terzo e al quarto comma dell’articolo 612 ter del Codice Penale, prevedendo un aumento della pena che i giudici saranno chiamati ad applicare a seconda delle circostanze richiamate dalla legge.

Al comma 3 è previsto che:

La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici”.

La prima circostanza aggravante del reato concentra la propria attenzione sui legami affettivi della vittima e sul modo utilizzato per carpire le immagini e/o i video sessualmente espliciti:

  • il coniuge, anche se separato o divorziato;
  • chi ha avuto un legame affettivo in passato con la persona offesa;
  • l’utilizzo di strumenti informatici e telematici (cioè chat, messaggi, community online ecc.).

Pensiamo al caso in cui le foto venissero mandate in un gruppo Telegram, un’app già nota alla cronaca per l’assenza di misure volte a contrastare la diffusione di contenuti illeciti: centinaia di gruppi in cui altrettanti iscritti offrono e chiedono materiale pornografico ottenuto non consensualmente.

Un vero e proprio girone infernale in cui viene gettata la vittima, vedendo scambiati per mano di sconosciuti quei contenuti creati e destinati a rimanere privati.

Al successivo comma 4 richiama:

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza”.

La previsione intende tutelare l’integrità e l’autodeterminazione della vittima che si trovi in uno stato di soggezione, prescindendo quindi dalla patologia vera e propria, quanto piuttosto facendo riferimento la minore resistenza che la vittima potrebbe opporre all’opera di persuasione del colpevole.

Come viene punito il reato

L’art. 612 ter c.p., ovvero il reato di “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, persegue il colpevole dell’invio illecito prevedendo che sia punito con la reclusione da un minimo di 1 anno al massimo di 6 anni e con la multa da € 5000 a € 15.000.

La circostanza aggravante di cui al comma 3 della norma, prevede poi un aumento della pena nel caso in cui il reato sia commesso dal coniuge, un ex partner, o avvalendosi di strumenti informatici.

Ulteriormente, come previsto dal comma 4, la pena è poi aumentata da un terzo fino alla metà nel caso in cui il reato sia commesso ai danni di una persona in stato di inferiorità psichica, fisica o di gravidanza.

Quanto tempo si ha per denunciare?

La persona offesa dal reato di revenge porn, ovvero la vittima, ha 6 mesi di tempo entro cui sporgere querela all’Autorità giudiziaria il reato e dando quindi impulso all’attività d’indagine.

La querela può essere presentata:

  • ai Carabinieri;
  • agli uffici di Polizia;
  • alla Procura della Repubblica, presentando la querela a mezzo del proprio avvocato difensore;Centri antiviolenza.

La querela può essere rimessa (ovvero ritirata) solo in sede processuale, per preservare la volontà autentica e genuina della vittima di non continuare il processo, assicurando che non stia subendo pressioni o intimidazioni.

Se la vittima fosse vessata da minacce o atti persecutori, la querela sarà irrevocabile.

Vi sono però delle eccezioni previste dalla legge che consentono di procedere d’ufficio per il reato.

La vittima di revenge porn, oltre alla denuncia, può segnalare la presenza dei contenuti online che la ritraggono anche al Garante della Privacy così chiedendone la rimozione.

Oltre alla presentazione della denuncia-querela, alla vittima del reato ex art. 612 ter c.p. è riconosciuto il cd. diritto all’oblio, ovvero la richiesta ai motori di ricerca di deindicizzare e/o eliminare i contenuti pornografici in cui la vittima comparirebbe.

Quando il revenge porn è procedibile d'ufficio?

Il reato di revenge porn è procedibile a querela della vittima del reato, tuttavia l’articolo 612 ter c.p. individua anche delle specifiche ipotesi in cui è possibile procedere d’ufficio.

L’Autorità giudiziaria potrà attivare le indagine e procedere in autonomia, così come previsto nelle ipotesi cui al comma 4 della norma, cioè quando:

  • il reato è commesso ai danni di un minore;
  • il reato è commesso ai danni di una persona con disabilità;
  • se il revenge porn è connesso con un altro delitto procedibile d’ufficio.

Il diritto alla riservatezza per il Garante della privacy

Oltre alla presentazione della denuncia-querela, alla vittima del reato ex art. 612 ter c.p. è riconosciuto il cd. diritto all’oblio, ovvero la richiesta ai motori di ricerca di deindicizzare e/o eliminare i contenuti pornografici in cui compare.

Tale richiesta deve pervenire attraverso la segnalazione della vittima al Garante per la Protezione dei Dati Personali, ovvero il Garante per la privacy, così come previsto dall’art. 144 bis del Codice della Privacy e dall’art. 33 bis del Regolamento n.1/2019 del Garante.

La segnalazione può essere presentata online attraverso la compilazione dell’apposito modulo fornito dal Garante, in cui bisognerà descrivere:

  • il tipo di contenuto oggetto di diffusione;
  • le piattaforme social che ne consentono la condivisione (come social network, chat, siti e app di messaggistica);
  • le motivazioni su cui si fonda il timore della vittima.

Il Garante, una volta ricevuta la segnalazione, valuterà gli elementi descritti e notificherà un provvedimento ai motori di ricerca di riferimento, chiedendo la rimozione o la deindicizzazione dei contenuti che ritraggono la vittima e ne offendono la reputazione.

Il consenso della persona raffigurata

L’articolo 612 ter del Codice Penale, in tema di Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, richiama l’attenzione su uno degli elementi fondamentali del reato: ovvero il consenso della persona raffigurata.

La norma, infatti, prevede che:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000”.

L’espressione del consenso è il fulcro della norma che intende tutelare la riservatezza e l’immagine altrui.

Proprio in tema di immagini e del correlato diritto d’autore, la Legge 22 aprile 1941, n. 633 nei suoi articoli 96 e 97 richiama l’imprescindibile esigenza di ricevere il consenso della persona ritratta per poterne divulgare le immagini.

L’articolo 96 della Legge 633/1941 afferma che:

Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell'articolo seguente. 

Dopo la morte della persona ritrattata si applicano le disposizioni del 2°, 3° e 4° comma dell'art. 93”.

Il successivo articolo 97 della Legge 633/941 disciplina:

Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine  è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. 

Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l'esposizione o  messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione od anche al decoro della   persona ritrattata”.

La disposizione di cui all’articolo 97 della Legge porta all’attenzione alcuni elementi di ulteriore interesse in tema di raffigurazione altrui, ovvero le ipotesi per le quali è possibile derogare al consenso di chi è ritratto.

E’ possibile riprodurre l’immagine altrui senza il consenso della persona raffigurata nei casi di:

  • notorietà della persona ritratta;
  • perseguire necessità di giustizia;
  • scopi scientifici;
  • finalità didattiche e culturali;
  • immagini collegate ad avvenimenti o cerimonie già svoltisi in pubblico;
  • perseguimento di interessi pubblici (come il diritto d’informazione dei cittadini, nel caso della stampa).

Successivamente, la disposizione richiama anche l'impossibilità di esporre in pubblico o di mettere in vendita quelle immagini, video e riproduzioni in generale, che ritraggono qualcuno se da ciò derivi un nocumento (ovvero un danno, un pregiudizio) all’onore o alla reputazione di chi è immortalato.

Nella stessa direzione, poi, va anche un’autorevole pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, sezione III, ordinanza 25 gennaio 2023, n. 2304 e ritenendo che “La divulgazione dell'immagine altrui senza il consenso dell'interessato è lecita, ove la riproduzione sia collegata a manifestazioni pubbliche (o anche private, ma di rilevanza sociale), ai sensi degli artt. 96 e 97 della l. n. 633 del 1941, se ed in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione e sia essenziale rispetto al contenuto informativo di interesse pubblico dell'articolo di accompagnamento, salvo che da tale evento derivi pregiudizio all'onore o al decoro della persona ritratta”.

Come è possibile esprimere o meno il proprio consenso?

La Corte di Cassazione Civile, sezione I, con sentenza 29 gennaio 2016, n. 1748 ribadisce il tema del consenso, o meglio dell’autorizzazione alla pubblicazione della propria immagine, affermando che “Il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, all'immagine ma soltanto l'esercizio di tale diritto, sicché, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, il consenso resta distinto ed autonomo dalla pattuizione che lo contiene ed è sempre revocabile, qualunque sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita ed a prescindere dalla pattuizione convenuta, che non integra un elemento del negozio autorizzativo”.

La tutela delle vittime di revenge porn

La vittima di revenge porn può portare all’attenzione delle Forze dell’Ordine e dell’Autorità giudiziaria la diffusione illecita delle proprie immagini attraverso due modalità:

  • la querela orale presso i Carabinieri o la Polizia di Stato, chi presenta la querela ha diritto di ottenere l’attestazione di ricezione;
  • depositare la denuncia-querela presso la Procura territorialmente competente avvalendosi del proprio avvocato difensore.

La denuncia-querela può essere presentata anche dai terzi interessati, ad esempio i familiari della persona di cui circolino le foto e/o video in rete.

Una volta denunciato il reato, l’Autorità giudiziaria si attiverà senza ritardo e darà avvio alle indagini, ovvero collezionare gli elementi utili a ricostruire la vicenda che offende e minaccia la vittima.

La remissione della querela da parte della persona offesa del reato ex art. 612 ter c.p., può avvenire solo in sede processuale – ovvero nel corso del processo innanzi al giudice – per tutelare e verificare l’autenticità della volontà della vittima di non procedere con il processo.

Solo così il Tribunale potrà verificare le reali intenzioni della persona offesa, assicurandosi che la sua remissione non sia frutto di pressioni e intimidazioni da parte del colpevole.

Nel corso delle stesse, tuttavia, l’Autorità giudiziaria ben potrebbe valutare la necessità di applicare nei confronti dell’indagato delle misure cautelari, come la custodia cautelare in carcere o l’allontanamento della persona dalla casa familiare.

Nel caso in cui queste venissero modificate, la vittima ha il diritto di essere tempestivamente informata di ogni modificazione o revoca delle misure.

Al termine delle indagini, se gli elementi raccolti sono utili a sostenere il processo, il Pubblico Ministero formulerà la richiesta di rinvio a giudizio.

La persona offesa, nel corso del processo penale in Tribunale, ha diritto a costituirsi parte civile al fine di chiedere il risarcimento dei danni subiti.

Costituirsi parte civile è l’unica possibilità per il danneggiato dal reato di chiedere in sede penale il risarcimento del danno.

E’ bene ricordare che, se la vittima segnalasse al Garante della Privacy la presenza online delle proprie immagini destinate a rimanere private e di contenuto sessualmente esplicito, questi, acquisita la segnalazione richiederà ai motori di ricerca o ai social la rimozione delle immagini.

Accanto alla segnalazione al Garante, la persona offesa o chi ne sia al corrente può anche scegliere di segnalare ulteriormente la presenza di immagini sessualmente esplicite diffuse in rete ricorrendo alla Polizia Postale, che potrà risalire alla catena di diffusione delle immagini e/o video e rintracciare l’autore.

Casi più noti in Italia di revenge porn

Circa due milioni di italiani sono stati vittime di revenge porn e poco più del doppio di questi conosce qualcuno che ne è stato vittima.

Nel corso degli anni non sono mancati casi noti alla cronaca in tema di revenge porn, anche con esiti dolorosi e tragici: come nel caso di Tiziana Cantone, la giovane campana che nel 13 settembre 2016 decise di togliersi la vita perché non poteva più sopportare il rimbalzo costante della propria intimità, da un cellulare all’altro, da uno sguardo all’altro.

Dalia Aly invece, all’epoca dei fatti ancora minorenne, nel 2017 scoprì che le foto inviate al suo “principe azzurro” in realtà stavano dilagando come vendetta per l’essere stato lasciato.

Spesso il revenge porn può assumere anche le connotazioni dell’estorsione, ovvero la cd. sextortion. La vittima viene prima convinta a inviare o scambiare le proprie immagini esplicite e poi viene ricattata per impedirne la diffusione in rete.

Così come accaduto alla giornalista sportiva Diletta Leotta che, vittima di un data breach del suo cloud, veniva ricattata richiedendo una somma di denaro per non diffondere i suoi contenuti intimi.

E’ stato vittima di estorsione a sfondo sessuale anche Andrea Giorgini che ha deciso di raccontare l’episodio che l’ha coinvolto. Dapprima adescato online per un incontro hot, successivamente veniva ricattato con messaggi minatori a che inviasse una certa somma per evitare la diffusione a macchia d’olio del suo video intimo.

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Virginia Sacco
Dottoressa in Giurisprudenza
Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli - Federico II, ho seguito le mie passioni specializzandomi prima in Intelligence istituzionale e, successivamente, in Diritto dell'Unione Europea. Nel corso degli anni ho preso parte a eventi, attività e progetti a livello europeo e internazionale, approfondendo i temi della cooperazione giudiziaria e del diritto penale internazionale. Su Lexplain scrivo di diritto con parole semplici e accessibili.
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