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30 Settembre 2023
15:00

Reato di rapina: spiegazione, differenza col furto, dolo e pena

Il reato di rapina è punito all'art. 628 c.p. ed è la condotta di chi, facendo ricorso alla violenza e alla minaccia, sottragga una cosa mobile altrui per conseguirne un ingiusto profitto. Vediamo cosa dice la norma, le tipologie di rapina previste e le differenze con il furto.

Reato di rapina: spiegazione, differenza col furto, dolo e pena
Dottoressa in Giurisprudenza
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La rapina è uno dei reati contro il patrimonio previsti dal legislatore all’art. 628 del Codice Penale.

La norma intende reprimere la condotta violenta e minacciosa di chi si impossessi di una cosa altrui.

Vediamo nel dettaglio il reato di rapina, ma anche la differenza tra rapina propria e rapina impropria.

Cos’è la rapina

Il reato di rapina consiste nell’impossessamento di un bene mobile di un’altra persona, commesso con l’intento di poterne realizzare un profitto e ricorrendo alla violenza o alla minaccia contro la persona offesa.

La norma intende tutelare la libertà personale e patrimoniale della vittima che, sotto violenza o minaccia (ovvero un pericolo o un danno imminente) non può sottrarsi.

La disciplina della rapina non deve essere confusa con la condotta tipica del furto, dal momento che sono distinte dall’impiego della violenza che si verifica nella prima ma non nella seconda fattispecie delittuosa.

Vediamo cosa dice l’articolo 628 c.p. e quali sono gli elementi costitutivi del reato.

Fonti normative (art. 628 c.p.)

L’articolo 628 del Codice Penale, di cui al Libro II – Dei delitti in particolare, Titolo XIII – Dei delitti contro il patrimonio, Capo – I Dei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone, è rubricato “Rapina”.

Il dispositivo della norma prevede:

Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500.

Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità.

La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 2.000 a euro 4.000:

1) se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite;

2) se la violenza consiste nel porre taluno in stato d'incapacità di volere o di agire;

3) se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416 bis;

3-bis) se il fatto è commesso nei luoghi di cui all’articolo 624 bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;

3-ter) se il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto;

3-quater) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro;

3-quinquies) se il fatto è commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne.

Se concorrono due o più delle circostanze di cui al terzo comma del presente articolo, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'art. 61, la pena è della reclusione da sette a venti anni, e della multa da euro 2.500 euro a euro 4.000.

Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’articolo 98, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti”.

La rapina è un reato comune, cioè che può essere commesso da “chiunque”. L’autore del reato non deve possedere specifiche caratteristiche soggettive (a differenza dei reati propri, i cui autori sono specificamente individuati dal legislatore).

Si tratta inoltre di un reato plurioffensivo dal momento che è in grado di ledere contemporaneamente sia l’interesse patrimoniale sia la libertà personale della vittima. La persona offesa del reato, infatti, subisce sia la sottrazione del proprio bene mobile (denaro, oggetti di valore o altro), sia la limitazione della propria autodeterminazione poichè costretta dall’immediatezza del pericolo e del danno prospettatole, al quale non può sottrarsi.

Proprio in ragione di questo e della sua collocazione sistematica, e infatti rientra nel Capo – I Dei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone, la rapina è ritenuta una delle più pericolose forme di aggressione alla persona, come afferma parte autorevole della dottrina (Fiandaca G., Musco E.).

Elementi costitutivi del reato

La rapina è un reato complesso, poiché frutto della condotta combinata di due reati: il furto (ex art. 624 c.p.) e la violenza privata o la minaccia (ex art. 610 c.p. o art. 612 c.p.).

Per comprendere il reato di rapina, ex art. 628 c.p., occorre valutare i suoi elementi costitutivi, ovvero:

  • la sottrazione;
  • l’impossessamento;
  • l’altruità della cosa;
  • la violenza privata e/o la minaccia;
  • il dolo.

La sottrazione e l’impossessamento

La sottrazione si riferisce all’azione materiale del rapinatore, mentre l’impossessamento ne è una conseguenza.

Si parla di sottrazione quando la cosa viene tolta al controllo e alla disponibilità del suo detentore, ovvero di colui che la possiede.

L’impossessamento è invece il riflesso di questa azione: l’autore del reato entra nel possesso della cosa di cui è privata la vittima, ottenendo il controllo e la vigilanza diretta, tale che la persona offesa non ne abbia più autonomamente la disponibilità.

Quello che si verifica tra sottrazione e impossessamento può definirsi interversione del possesso: ovvero, un’inversione del possesso dalle mani del detentore originario a quelle del rapinatore che, con violenza, ne ottiene il controllo e la disponibilità.

Sul punto si richiama la sentenza della Corte Suprema di Cassazione, 29 aprile 1960, Di Matteo
Deve distinguersi tra sottrazione e impossessamento. La prima attiene alla condotta, all’azione dell’agente; il secondo, che è un effetto della sottrazione, attiene più propriamente all’evento. La sottrazione si verifica nel momento in cui la cosa mobile è tolta al controllo ed alla disponibilità del detentore, il quale abbia perduto il potere di fatto sulla cosa. Lo spossessamento, invece, si ha quando il titolare del diritto abbia perduto il possesso della cosa sottratta alla sua sfera di vigilanza e controllo diretto, sicché non ne abbia più la disponibilità autonoma. Prima di tale momento, la semplice sottrazione non può essere punita che a titolo di tentativo”.

La cosa altrui

L’altruità è uno dei requisiti della condotta, prospettandosi nella circostanza che la cosa oggetto della rapina appartenga ad un soggetto diverso dall’autore del reato.

La violenza e la minaccia

La rapina richiede l’impiego della violenza e della minaccia contro la persona offesa, entrambe idonee a suscitare una pressione coercitiva sulla vittima che si ritrova alla mercé del rapinatore.

Per violenza si intende l’impiego di qualsiasi tipo di energia fisica al quale si fa ricorso per vincere l’altrui resistenza. Può trattarsi di una semplice spinta o di un urto contro la vittima, purché finalizzato all’impossessarsi della cosa.

Così come, inoltre, può trattarsi di un’azione violenta utile a mandare un messaggio minatorio alla vittima, come la rottura di una vetrata (fattispecie su cui si è pronunciata la Corte di Cassazione, sez. II, 4 marzo 2016, sent. n. 8961).

Oltre alla violenza fisica, si fa riferimento a quella psichica riferendosi alla minaccia.

Con il termine minaccia si fa riferimento alle espressioni intimidatorie idonee, per loro stessa attitudine, ad incutere timore attraverso la prospettazione di un pericolo  o di un male ingiusto.

La minaccia può essere implicita o esplicita, frutto di parole oppure di semplici atteggiamenti o gesti.

Subendo la violenza e la minaccia, la vittima si ritrova costretta a cedere alle pressioni del rapinatore, venendo quindi limitata la sua libertà psichica e personale.

Il dolo

L’elemento psicologico necessario per la rapina è il dolo specifico, vale a dire la coscienza e la volontà dell’autore orientata a conseguire un profitto dalla propria azione.

Il profitto non deve intendersi esclusivamente sotto un punto di vista patrimoniale, ma anzi come qualsiasi tipo di utilità che si possa ricavare dall’impossessamento dell’oggetto (per esempio, in termini di utilizzo anche solo temporaneo della cosa).

Le differenti tipologie di rapina

Il legislatore, sotto il nome generico “rapina”, fa convergere due ipotesi criminose: parliamo della rapina propria e della rapina impropria.

La rapina, come visto, è un reato complesso nel quale la condotta del furto si accompagna della violenza privata, commessa per assicurarsi l’impossessamento della cosa o per guadagnarsi l’impunità dopo la sottrazione.

A seconda del momento cronologico in cui la minaccia di un danno o di un pericolo imminente e grave avvenga, sarà possibile distingue l’una o l’altra.

Rapina propria (con esempi)

Si parla di rapina propria con riferimento alla condotta descritta dall’art. 628, comma 1, c.p.:

Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500”.

La violenza e la minaccia vengono compiute come strumento per forzare la volontà della persona offesa, costringendola a subire la sottrazione del proprio bene.

Per fare ciò, quindi, la minaccia e/o la violenza sono cronologicamente precedenti alla sottrazione della cosa.

Proviamo a spiegare la rapina propria con degli esempi:

“La borsa o la vita!” urla il ladro impugnando la pistola e puntandola verso Tizio.

Caio minaccia di accoltellare Sempronio se Mevio non gli consegna immediatamente tutti i gioielli.

Tizia fa irruzione in una banca e, con un’arma in pugno, intima ai cassieri di aprire le cassette di sicurezza.

Rapina impropria (con esempi)

La rapina impropria è descritta dal comma 2 dell’art. 628 c.p.:

Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità”.

L’impiego della violenza o della minaccia a cui fa ricorso il rapinatore è successivo alla sottrazione della cosa, e viene utilizzata o per assicurarsene il possesso o per guadagnarsi l’impunità.

Possiamo dire quindi che l’autore del reato, dopo aver preso la cosa, minacci o costringa fisicamente la vittima per poter fuggire con la refurtiva.

Pensiamo a Tizio e Caio che , introdottisi in un’abitazione per svaligiarla, vengano sorpresi da Sempronio. I due rapinatori, per completare la rapina e per potersi dare alla fuga, legano Sempronio.

Oppure Mevio che sorprenda Filano mentre gli stia sfilando il portafoglio dalla tasca e, nell’intento di bloccargli la mano, viene colpito al volto da un pugno sferrato dal ladro.

Le aggravanti della rapina

L’articolo 628, comma 3, del Codice Penale rinvia alle circostanze aggravanti speciali del reato.

La rapina è aggravata se:

  • la violenza o minaccia è commessa con armi, anche se non effettivamente usate ma utilizzate palesemente in modo da intimidire;
  • o da persona travisata, ovvero un’alterazione dell’aspetto in modo da rendere difficile l’identificazione dell’autore;
  • o da più persone riunite, in modo da conseguire una maggiore potenzialità criminosa data dalla presenza di più autori sul posto della rapina;
  • la violenza consiste nel porre taluno in stato d'incapacità di volere o di agire, bastando anche solo la limitazione temporanea della possibilità di agire della vittima per difendersi (per esempio, imbavagliando e legando la persona offesa);
  • la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416 bis, ovvero tale da usare la forza intimidatrice della propria appartenenza all’organizzazione mafiosa;
  • se il fatto è commesso nei luoghi di cui all’articolo 624 bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;
  • all’interno di mezzi di pubblico trasporto;
  • nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro;
  • nei confronti di persona oltre i 65 anni.

Le attenuanti della rapina

Stando al comma 4, dell'art. 628 c.p., le eventuali circostanze attenuanti (diverse da quelle previste dall’art. 98 c.p., ovvero la minore età del colpevole), se concorrenti con alcune delle aggravanti previste dalla norma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti per la diminuzione della pena.

Tra le circostanze attenuanti comuni previste nell’ordinamento, vi è quella richiamata dall’art. 62,comma 1, n. 4, c.p. ovvero l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità.

Sebbene la valutazione concreta che il giudice debba fare del danno patrimoniale arrecato alla vittima e che questo sia un parametro per commisurare la sanzione nei confronti del reo, in tema di rapina non è sempre determinante in maniera esclusiva che il danno patrimoniale sia stato di particolare tenuità.

Sul punto, infatti, nel corso del tempo si è pronunciata più volte la Corte di Cassazione richiamando la necessità di una valutazione complessiva della rapina compiuta e non solo relativamente al valore economico della cosa sottratta, ma anzi ai danni sofferti dalla vittima.

Corte di Cassazione, sez. II, 13 ottobre 2011, n. 36916

La circostanza attenuante del danno di speciale tenuità non è integrata per il solo fatto della scarsa entità del valore della cosa (nella specie del denaro sottratto nel corso di una rapina), occorrendo far riferimento ad una valutazione il più completa possibile del danno”.

Corte di Cassazione, sez. II, 30 maggio 2001, n. 21872, Corte di Cassazione, sez. II, 20 maggio 2010, n. 19308, Corte di Cassazione, sez. II, 19 dicembre 2006, n. 41578 e Corte di Cassazione, sez. II, 29 dicembre 2015, n. 50987
Ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità in riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona (che non coincide necessariamente con il titolare del diritto sulla cosa sottratta) contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, atteso che il delitto de quo ha natura di reato plurioffensivo perché lede non solo il patrimonio ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale aggredite per la realizzazione del profitto; ne consegue che, in applicazione della seconda parte della disposizione citata, solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante; il relativo apprezzamento, risolvendosi nella verifica di circostanze fattuali, è riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità se immune da vizi logici e giuridici”.

La pena

La rapina nella sua ipotesi-base è punita con la pena della reclusione che va da un minimo di 5 anni al massimo di 10 anni e la multa da 927 a 2.5000 euro.

Per la rapina aggravata la pena è il carcere da 6 a 20 anni e la multa da 2.000 a 4.000 euro.

Infine, se concorrono due o più circostanze aggravanti, oppure se una delle aggravanti speciali concorre con una comune di cui all’art. 61 c.p., la pena prevista è la reclusione da 7 a 20 anni e la multa da 2.500 a 4.000 euro.

Qual è la differenza tra furto e rapina

La differenza principale tra il furto (art. 624 c.p.) e la rapina (art. 628 c.p.) sta nell’impiego della violenza.

Mentre nel caso della rapina, l’energia fisica violenta è rivolta nei confronti della vittima e animata dall’intento di assicurarsi l’impossessamento dell’oggetto oppure per darsi alla fuga o sottrarsi alle conseguenze processuali (cioè, per guadagnarsi l’impunità), nel furto l’impiego della violenza è rivolto direttamente all’oggetto.

In quel caso, si parla di furto con strappo (cioè lo scippo) punito all’articolo 624 c.p. e per il quale il ladro, con un gesto violento e repentino, strappa materialmente la cosa da chi la detiene.

Inoltre, ulteriore differenza, è data dal profitto che l’autore del reato intende conseguire.

Mentre per il furto il profitto che il ladro intende conseguire è qualsiasi vantaggio, anche non patrimoniale, ma che rappresenta per l’ordinamento una pretesa tutelata; viceversa l’ingiusto profitto di cui alla rapina non ha una base giuridica riconosciuta dal diritto.

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Virginia Sacco
Dottoressa in Giurisprudenza
Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli - Federico II, ho seguito le mie passioni specializzandomi prima in Intelligence istituzionale e, successivamente, in Diritto dell'Unione Europea. Nel corso degli anni ho preso parte a eventi, attività e progetti a livello europeo e internazionale, approfondendo i temi della cooperazione giudiziaria e del diritto penale internazionale. Su Lexplain scrivo di diritto con parole semplici e accessibili.
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