
La diffamazione è il reato di cui è chiamato a rispondere colui che offende la reputazione di chi è assente, impedendogli di poter replicare ed è disciplinato all’articolo 595 del Codice Penale.
L’offesa deve riguardare una persona determinata, non è necessario che sia individuata per nome ma che sia facilmente e certamente identificabile.
Il commento odioso e denigratorio alla reputazione, anche se fa riferimento a una o più persone appartenenti ad una cerchia limitata, non è diffamatorio se le persone a cui le frasi si riferiscono non sono individuabili.
Per reputazione si intende la dignità personale e la percezione che gli altri hanno di noi, così come della stima diffusa, del decoro e dell’onore nell’ambiente sociale e professionale.
La tutela dell’onore trova il suo fondamento all’art. 3 Cost. il quale, sancendo la pari dignità tra tutti i cittadini, vieta ai singoli di esprimersi con giudizi di indegnità gli uni con gli altri.
Non tutte le frasi allusive, le espressioni dubitative e i commenti non lusinghieri possono essere riconducibili al reato di diffamazione poiché, a seconda dei casi concreti, è più frequente ravvisarsi un illecito civile – meritevole del risarcimento del danno causato – quando ad essere violato sia il diritto all’identità personale attraverso un’effettiva distorsione, alterazione, travisamento, offuscamento o contestazione personale.
Che cos'è la diffamazione e cosa prevede l'art. 595 c.p.
La diffamazione è uno dei reati contro l’onore previsti dal Codice Penale e di cui si rinviene la disciplina all’art. 595 c.p.:
“Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, oppure della multa fino a 2.065 euro.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.
Dalla legge è possibile capire che è un tipo di reato comune, ovverosia può essere compiuto da “chiunque” e comunicando con più persone – almeno due quindi – anche se non presenti nello stesso momento.
L’offesa deve essere pronunciata in assenza della persona diffamata, che non può intervenire, controbattere e difendersi.
Tuttavia, se l’offesa pronunciata fosse comunque appresa dall’interessato “chiacchierato”, ad esempio per telefono, attraverso scritto o immagini direttamente a lui destinati, si parlerebbe di ingiuria, ormai depenalizzata e tutelata in sede civile.
Presupposti che integrano il reato di diffamazione
Il reato di diffamazione si configura ogni volta in cui venga offesa la reputazione di una persona in sua assenza e a prescindere delle modalità comunicative, per questo è un reato a forma libera.
Comunicare a più persone è un altro dei presupposti previsti dal reato.
Si ritiene che anche il caso in cui l’agente si indirizzi ad una sola persona ma parlando ad alta voce in modo da essere udito anche da altri con facilità, possa integrare la comunicazione offensiva.
Non occorre che i destinatari della comunicazione siano simultaneamente presenti al momento delle dichiarazioni, che infatti possono anche avvenire in momenti successivi ma che comunque coinvolgano più persone – pensiamo ai messaggi vocali o alle mail, che possono essere mandate a più persone in momenti diversi.
Proprio a questo proposito, la Corte di Cassazione con sent. 323/2022 è intervenuta sul punto ritenendo applicabile il reato di diffamazione per le frasi riferite alla condotta sessuale della vittima e indirizzate ad una pluralità di destinatari attraverso singole chiamate provenienti da un account online.
Inoltre, la diffamazione può consistere anche nell’attribuzione di un fatto determinato, ovvero azioni o condotte, sufficientemente particolareggiate con descrizioni di luogo, tempo e modi al fine di risultare credibile e non immaginifico.
La diffamazione è un reato di evento, cioè si consuma nell’istante e nel luogo in cui l’offesa viene percepita dai suoi destinatari.
In che momento si consuma il reato di diffamazione nel caso in cui il commento fosse stato inviato attraverso una delle tante app di messaggistica istantanea (Whatsapp, Telegram, Signal, Messenger ecc.)?
Nel caso in cui sia stato inviato un messaggio (anche frasi audio o immagini) offensivo e diretto a più persone, occorre che lo stesso sia stato effettivamente recapitato ai destinatari e non solo che il messaggio sia stato inserito in rete. Basta che vi sia a prova che il messaggio sia stato scaricato e/o visualizzato dai destinatari.
Non è diffamazione l’utilizzo di frasi ed epiteti detti per scherzo, per gioco o per finzione.
E’ invece dibattuta la configurazione delle parole spese durante le contese politiche. La polemica politica, sebbene come sappiamo può assumere toni pungenti e piccati rispetto a quelli della vita quotidiana, potrebbe assumere le caratteristiche della diffamazione ma ciò dovrà essere valutato concretamente, in virtù della portata delle frasi proferite.
Esempi pratici di diffamazione
La casistica in tema di diffamazione è davvero ampia toccando, con esempi, gli scenari più disparati.
Vediamoli di seguito:
Gli insulti
Un insulto, teso a ledere la dignità altrui e pronunciato a sua insaputa, può rappresentare un esempio di diffamazione. Per la giurisprudenza, però, non è così per tutti gli insulti.
- “Vaffanculo”: rappresenta un’espressione di uso così comune da non poter integrare di per sè nè la diffamazione, nè l’ingiuria, ma al più un esempio di gran villania (Corte di Cassazione Penale, sez. V, sent. 27966 del 13 luglio 2007);
- “Rompiballe”: l’epiteto deve essere valutato alla stregua del criterio medio valutativo, cioè con l’accezione di “seccatore” e pertanto non integra il reato (Corte di Cassazione Penale, sez. V, sent. n. 22887 del 27 maggio 2013);
- “Coglione”: non assume i connotati dell’offesa se pronunciata con l’intenzione di sottolineare l’affettività giocosa ed è quindi un’espressione colorita se intesa come “ingenua”, “sprovveduta” (Corte di Cassazione Penale, sez. I, sent. n. 34442 del 13 luglio 2017);
- “Mi hai rotto i coglioni”: non integra il reato poiché intesa quale dichiarazione di insofferenza rispetto ad azioni del soggetto, l’espressione è priva del contenuto offensivo o lesivo dell’onore ma si connota solo della maleducazione di colui che la espliciti (Corte di Cassazione Penale, sez. V, sent. n. 19223 del 3 maggio 2013);
- “Pazzo”: non ha connotazione diffamatoria se resa in un contesto volto a definire un'organizzazione scorretta e foriera di gravi disorganizzazioni (Corte di Cassazione Penale, sez. V, sent. n. 17672 del 25 novembre 2020).
Social network e blog
L’utilizzo delle piattaforme online, dei blog e dei social network ha reso tutti più esposti alle critiche e alla visibilità. La giurisprudenza è tornata frequentemente sul tema sancendo quando occorra configurare il reato di diffamazione.
- Contenuti offensivi nel blog: il blogger risponde della diffamazione quando non provvede tempestivamente alla rimozione degli scritti denigratori pubblicati da terzi sul suo sito, poichè ciò permette la diffusione dei commenti diffamatori (Corte di Cassazione Penale, sez. V, sent. n . 12546 del 20 marzo 2019);
- Bacheca Facebook: la diffusione del messaggio diffamatorio attraverso la bacheca Facebook integra il reato poiché potenzialmente idoneo a raggiungere un numero indeterminato di persone (Corte di Cassazione Penale, sez. V, sent. n. 13979 del 25 gennaio 2021);
- Pubblicazione di immagini su Instagram: la pubblicazione di immagini manipolate negativamente e volta ad attirare commenti da parte degli utenti, integra il reato di diffamazione (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sentenza del 7 novembre 2017).
Offese in genere
L’attribuzione di frasi, circostanze, qualità, relazioni sentimentali possono – a seconda del loro tenore – integrare il reato di diffamazione.
- Qualità sfavorevoli: è necessario che le parole siano attributive di qualità sfavorevoli e che gettino una luce negativa sull’interessato (Corte di Cassazione Penale, sez. V, sent. n. 17944 dell’11 giugno 2020);
- Allusioni ed espressioni dubitative: suscitare il dubbio sulla personalità altrui nel comune sentire attraverso la forma delle insinuazioni, purché sussista la capacità di ledere concretamente (Corte di Cassazione, sez. V, sent. n. 4384 del 17 aprile 1991 e Corte di Cassazione, sez. VI, sent. n. 1988 dell’11 novembre 1976);
- Segnalazione di comportamenti non deontologicamente corretti: non integra il reato di diffamazione l’invio di una comunicazione al Presidente dell’Ordine professionale in cui, con espressioni offensive, vengono segnalati i comportamente deontologicamente scorretti del professionista poiché è un reclamo diretto personalmente al titolare di un organo e manca la comunicazione con più persone (Corte di Cassazione, sez. V, sent. n. 19396 dell’8 maggio 2009);
- E-mail inoltrata anche alla persona offesa: inviare l’e-mail dal contenuto offensivo ad una pluralità di destinatari, tra cui anche il diretto interessato dalle offese, integra comunque il reato (Corte di Cassazione, sez. V, sent. n. 13252 dell’8 aprile 2021).
Tipi di diffamazione
Quanti tipi di diffamazione ci sono? La diffamazione può avvenire sia in via orale (pensiamo ai pettegolezzi, alle maldicenze o al chiacchiericcio) oppure attraverso lo scritto (come le email, i commenti sui social network, a mezzo stampa).
Dimostrare la diffamazione orale può non essere semplice, poiché priva di tracce scritte e il rischio che la querela sporta all’Autorità per tutelare i propri diritti venga archiviata è dietro l’angolo.
Con alcuni accorgimenti è possibile evitare l’archiviazione della querela sporta per diffamazione e che quindi la Procura si attivi in direzione degli accertamenti necessari.
Occorre infatti essere quanto più precisi possibile nella descrizione dei fatti e delle circostanze apprese dai racconti di altri. Possibilmente anche indicando i nomi delle persone a cui sono state riportare le dichiarazioni offensive e che potranno, eventualmente, testimoniare a favore.
La diffamazione scritta è esplicita ogni volta in cui l’autore dei commenti lesivi dell’altrui reputazione e dignità lo fa attraverso lettera, stampa, e-mail, social network, app, internet o altro mezzo di comunicazione idoneo alla diffusione.
E’ possibile provare la diffamazione subita tramite scritto grazie alla produzione di una prova documentale, ovvero avvalendosi di una copia dell’articolo o della pagina in cui compare il contenuto diffamatorio.
Ai fini del processo, la validità del documento come prova è indicata dall’articolo 234 del Codice di Procedura Penale il quale dispone che:
“È consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.
Quando l'originale di un documento del quale occorre far uso è per qualsiasi causa distrutto, smarrito o sottratto e non è possibile recuperarlo, può esserne acquisita copia.
È vietata l'acquisizione di documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo o sulla moralità in generale delle parti, dei testimoni, dei consulenti tecnici e dei periti”.
Quando si parla di diffamazione aggravata
La diffamazione aggravata si verifica con il mezzo della stampa o di altri mezzi di comunicazione, o riguardi un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, così come prevedono i commi 3 e 4, dell’articolo 595 del Codice Penale:
“Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.
La diffamazione aggravata prevede esplicitamente che i soggetti elencati siano assenti al momento delle dichiarazioni perchè, se invece fossero presenti, si configurerebbe il reato di Oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario di cui all’art. 342 c.p.
E’ ovvio che l’offesa diffamante se circoscritta in un ambiente ristretto, come possa essere un gruppo di amici o il luogo di lavoro, avrà una portata diversa rispetto alla diffusione di dominio pubblico.
Regime di procedibilità
Il reato di diffamazione è procedibile a querela di parte, cioè la persona offesa ha il diritto di segnalare all’Autorità giudiziaria il reato subito.
La legge prevede che solo il diretto interessato dalla vicenda abbia il diritto di presentare la querela al fine di rendere noti i fatti lesivi alle Autorità competenti e far sì che queste si attivino per la ricerca degli elementi utili che condurrà poi all’iscrizione della notizia di reato e successivamente al processo.
La procedibilità a querela impedisce al processo di iniziare “d’ufficio”, ovvero su impulso della Procura della Repubblica (a differenza, invece, della calunnia).
La pena per la diffamazione
Quale pena si rischia in caso di diffamazione? La disciplina è descritta dall’articolo 595 del Codice Penale e che prevede come pena per la diffamazione base la reclusione fino a 1 anno o la multa fino a 1.032 €.
Se la diffamazione attribuisce un fatto determinato all’offeso, la reclusione è fino a 2 anni oppure la multa fino a 2.065 €.
Se l’offesa avviene usando la stampa o un altro tipo di comunicazione, seguirà la pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni oppure la multa fino a 516 €.
Diffamazione e diritto di cronaca
In tema di diffamazione, il diritto di cronaca assume una particolare importanza anche alla luce del fatto che i fatti offensivi possano essere resi noti ad un numero indistinto di persone perché pubblicati a mezzo stampa.
L’articolo 21 della Costituzione garantisce la libertà di stampa prevedendo che non possa essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Tuttavia, anche i diritti fondamentali incontrano il limite dell’esercizio entro il rispetto dell’onore e della dignità altrui.
Il diritto di espressione e di stampa, così come in generale può essere inteso il diritto all’informazione, si distingue in diritto di cronaca, diritto di critica e di satira.
Il diritto di cronaca e di critica presuppongono il controllo di ciò che viene pubblicato e in particolare verificare:
- la pertinenza, ovvero che i fatti siano realmente di interesse pubblico e meritevoli di divulgazione;
- la continenza, utilizzando ciò espressioni e parole opportune e adeguate;
- la verità della notizia, cioè che i fatti siano veri, le fonti attendibili e che non sia semplicemente la notorietà di “voci di corridoio”;
- l’attualità, che le circostanze siano attuali e d’interesse pubblico.
Al pari, la satira – rappresentando una forma di espressione artistica – forza la mano sugli aspetti della continenza (ricorrendo ad espressioni pungenti e ironiche) e dell’obbligo della verità, ma in ogni caso è chiamata al rispetto di tutti gli altri aspetti visti fin qui.
Il diritto di cronaca si basa sull’esposizione di fatti di interesse pubblico che abbiano lo scopo di poter informare tutti.
Come sappiamo, il diritto all’informazione è esplicitamente tutelato all’art. 21 della Costituzione e, in quanto tale, l’informazione deve garantire che i suoi contenuti siano:
- liberi da condizionamenti, vale a dire che non siano soggetti a limitazioni o censure;
- raccontare fatti veri e rilevanti;
- narrare circostanze attuali;
- rispettare il diritto all’oblio;
Che responsabilità ha il direttore del giornale in caso di diffamazione?
Il direttore del giornale ha il dovere di vigilare sui contenuti pubblicati, a lui spetta l’ultima parola ed è quindi responsabile delle conseguenze generate dai contenuti diffamatori.
La Cassazione è intervenuta frequentemente sul punto, vediamo insieme le sentenze più interessanti:
Il direttore di un giornale risponde del reato di diffamazione, poiché responsabile del tenore diffamatorio che accompagna l’articolo pubblicato, nel caso in cui abbia contribuito a formare il titolo o abbia approvato consapevolmente i contenuti prima che venissero mandati in stampa.
Corte di Cassazione, sez. V, sent. n. 12548 del 20 marzo 2019
La responsabilità del direttore del giornale per i danni cagionati dalla diffamazione pubblicata a mezzo stampa è data dal fatto che costui ha l’obbligo di controllo e facoltà di sostituzione dei contenuti.
Corte di Cassazione Civile, sez. III, sent. n. 10252 del 12 maggio 2014
Quali notizie sono diffamatorie? E’ ovvio che non tutte le notizie possano ritenersi offensive o lesive della dignità altrui, è indiscusso che il contenuto diffamatorio di una notizia deve risultare dalla notizia complessivamente esposta.
Il solo fatto che una notizia sia stata espressa in forma dubitativa ma occorre verificare che siano esposte frasi volutamente ambigue, sottintese, allusive e suggestive idonee a ingenerare la falsità sul conto altrui.
E’ possibile diffamare anche avvalendosi di altri mezzi di comunicazione, pensiamo ai pubblici comizi o agli spettacoli televisivi che, per loro natura, sono in grado di raggiungere un’ampia e indiscriminata fetta della popolazione.
Differenze tra diffamazione, ingiuria e calunnia
E’ responsabile del reato di diffamazione, ex art. 595 c.p., colui che offende l’altrui reputazione e onore riferendosi ad un gruppo di persone in assenza della persona offesa.
Si parla di calunnia, così come previsto dall’art. 368 c.p., nel caso in cui si incolpi qualcuno di aver commesso un reato o se ne simulino a suo carico le tracce, rendendo edotta l’Autorità giudiziaria.
La calunnia è un reato di pericolo, ovvero non è necessario che l’accusa instauri realmente un processo contro l’innocente perchè l’autore venga punito, ma è bastevole anche la mera potenzialità di arrecare un danno e di avviare inutilmente un processo.
Le due ipotesi non vanno confuse con l’ingiuria.
Con il D.L. 15 gennaio 2016, n. 7 l’ingiuria è stata depenalizzata: ad oggi non è più un reato che verrà punito nel processo penale, ma è un illecito civile che genererà il risarcimento del danno causato alla persona offesa.
Si parla di ingiuria nel caso in cui l’offesa all’onore, alla dignità e alla rispettabilità di una persona venga pronunciata in sua presenza.
Come è punita l’ingiuria?
Depenalizzando l’ingiuria, sono venute meno le sue conseguenze penali.
Ad oggi, poiché illecito civile, l'ingiuria prevede la liquidazione di un risarcimento in favore della vittima e valutato alla stregua del danno subito da parte del giudice. In più, è prevista la sanzione da 100 a 8.000 nel caso in cui sia attribuito un fatto determinato; se invece l’ingiuria avviene davanti a più persone, la sanzione pecuniaria va dai 200 fino ai 12.000€.
Il risarcimento del danno per diffamazione
La diffamazione può comportare il risarcimento del danno subito.
Sul punto, sono intervenute diverse sentenze autorevoli delle Sezioni Unite sancendo che, una volta appurata la natura diffamatoria, la persona offesa ha il diritto a vedersi riconosciuto il risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti ingiustamente perchè lesa nella dignità, immagine e reputazione.
Tuttavia, per potersi liquidare il risarcimento, occorre valutare concretamente il pregiudizio sofferto, così come le ricadute alla sfera personale e professionale delle dichiarazioni diffamatorie.
Il risarcimento per la diffamazione può essere:
- liquidazione di una somma di denaro quantificata dal giudice;
- ordine di pubblicazione della sentenza ai danni dell’autore della diffamazione;
- ordine di pubblicazione della smentita con rettifica dei fatti che hanno riguardato il diffamato.
Come ci si difende dall'accusa di diffamazione
Offendere pubblicamente la reputazione altrui è un reato, si parla infatti di diffamazione ogni volta in cui si offenda la dignità, l’onore e la reputazione di una persona in sua assenza e alla presenza di due o più persone.
Può accadere però di essere accusati di aver diffamato qualcuno e apprendere di essere stati querelati. E’ possibile difendersi dalla diffamazione?
E’ consigliabile innanzitutto farsi assistere da un avvocato, ma è bene ricordare di ammettere i propri sbagli e adoperarsi spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze di quanto causato.
A questo punto la persona offesa potrebbe scegliere di non presentare la querela; in alternativa, rimettere la querela (ovvero, ritirarla) qualora già resi noti i fatti all’Autorità.