La disciplina dei contratti del consumatore costituisce un’acquisizione fondamentale nell’ambito del nostro ordinamento giuridico, poiché è volta a soddisfare le istanze di garanzia del contraente debole, più volte poste all’attenzione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
Il consumatore, infatti, è coinvolto in un rapporto contrattuale con il professionista caratterizzato da asimmetria.
Consumatore e professionista, cioè, non sono sullo stesso piano, in quanto il consumatore si trova in una posizione di svantaggio.
L’asimmetria che caratterizza il rapporto tra consumatore e professionista è prima di tutto un’asimmetria informativa, in quanto è il professionista a detenere tutte le informazioni che riguardano, ad esempio, il funzionamento di un bene oggetto di vendita.
I suoi pregi e difetti.
Ecco perché l’obbligo informativo posto a carico del professionista ha un contenuto alquanto pregnante.
La normativa dei contratti del consumatore ha subito negli anni una notevole evoluzione grazie all’apporto del diritto dell’Unione Europea.
La tutela del consumatore, infatti, in ambito europeo, riveste da sempre carattere prioritario.
I referenti normativi sono contenuti negli articoli del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
All'art. 12 del TFUE è stabilito che: “Nella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attività dell'Unione sono prese in considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori”.
All’art. art. 114 del TFUE, rubricato “Ravvicinamento delle legislazioni” è in particolare disposto che la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio, in materia di "sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e protezione dei consumatori", devono fare riferimento a un "livello di protezione elevato".
All’art. 169 TFUE è in particolare specificato che l'Unione contribuisce a promuovere il diritto dei consumatori all'informazione, all'educazione e all'organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi.
Il Codice del consumo
Le istituzioni dell’Unione mostrano da sempre una particolare sensibilità per i diritti dei consumatori, infatti, la normativa approvata dagli organi dell’Unione europea costituisce il motore primario nel processo di evoluzione del diritto dei consumatori.
Nel nostro ordinamento, una serie di provvedimenti legislativi sono stati approvati sulla spinta di alcune, fondamentali direttive, emanate in ambito europeo:
Per citare alcuni esempi:
- la Direttiva 85/374/CEE relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi;
- la Direttiva 85/577/CEE in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali;
- la Direttiva 90/314/CEE concernente i viaggi, le vacanze e i circuiti tutto compreso;
- la Direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori;
- la Direttiva 97/7/CE relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza;
- la Direttiva 98/27/CE relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori.
Il recepimento delle direttive sopra citate ha comportato, negli anni, una stratificazione normativa cui era necessario porre rimedio.
Il Codice del consumo, adottato con Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206 ha rappresentato l’occasione per mettere ordine nella disciplina.
Il contenuto della normativa sulla tutela dei consumatori è ben delineato all’art. 4 Codice del consumo ove è stabilito che “L'educazione dei consumatori e degli utenti è orientata a favorire la consapevolezza dei loro diritti e interessi, lo sviluppo dei rapporti associativi, la partecipazione ai procedimenti amministrativi, nonché la rappresentanza negli organismi esponenziali”.
Nel Codice del consumo, infatti, vi sono numerose disposizioni tese a favorire la consapevolezza dei consumatori e il loro diritto a essere informati.
Vengono inoltre disciplinati una serie di contratti in maniera specifica, quale, ad esempio, il contratto di multiproprietà, per assicurare al meglio la protezione del consumatore che, nell’ambito di tali rapporti, assume la posizione di contraente debole.
Chi è il consumatore?
La disciplina contenuta nel Codice del consumo reca una definizione di consumatore all’art.3.
In base a quanto stabilito dal Codice è consumatore o utente: “la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.
Consumatore è, dunque, esclusivamente la persona fisica e non la persona giuridica.
Egli deve agire, inoltre, al di fuori dello svolgimento della sua attività.
Facciamo un esempio.
Un architetto, il quale acquisti un computer per regalarlo a suo figlio agisce per scopi personali, ed è dunque un consumatore; qualora, invece, egli acquisti un computer per il suo ufficio non può definirsi consumatore, poiché il computer gli servirà per l’esercizio della sua attività professionale.
Viene invece considerato professionista: “la persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario”.
Il condominio è un consumatore?
In giurisprudenza è stato sottolineato che va considerato consumatore anche il condominio, nella persona dell’amministratore, il quale, ad esempio, stipuli con una società di servizi un contratto di manutenzione dell’ascensore condominiale.
La Cassazione ha in diverse occasioni specificato che non riconoscere al condominio la qualità di consumatore risulterebbe discriminatorio.
Il condominio è, tuttavia, un ente di gestione privo di personalità giuridica, di conseguenza la qualità di consumatore andrebbe riconosciuta all’amministratore che lo rappresenta.
Sulla questione è intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione europea con sentenza del 2 aprile 2020, causa c-329/19.
Il giudice del rinvio chiedeva, in sostanza, se fosse contrastante con il diritto dell’Unione europea una giurisprudenza nazionale che interpretasse la normativa di recepimento nel diritto interno in modo tale che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene risultassero applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano.
La Corte di Giustizia ha precisato che il criterio interpretativo più adeguato deve essere quello che sottende un livello di tutela più elevato per i consumatori e non pregiudichi le disposizioni dei trattati.
In pratica, ha chiarito la Corte di Giustizia, che una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento del diritto dell’Unione europea nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, non è contrastante con il diritto dell’Unione europea, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea, in quanto la direttiva 93/13 all’articolo 2, lettera b) reca una definizione di “consumatore” che deve intendersi riferita a “qualsiasi persona fisica”.
I diritti dei consumatori
Ai consumatori e agli utenti sono riconosciuti come fondamentali alcuni diritti che sono elencati all’art. 2 del Codice del consumo, che si riporta:
- la tutela della salute;
- la sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi;
- una adeguata informazione e una corretta pubblicità;
- l'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà;
- l'educazione al consumo;
- la correttezza, la trasparenza e l'equità nei rapporti contrattuali;
- la promozione e lo sviluppo dell'associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti;
- l'erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza.
Minimo comune denominatore dei diritti sopra menzionati è, in sostanza, la trasparenza, poiché il consumatore deve essere correttamente e adeguatamente informato circa gli acquisti che si trova a effettuare e i servizi di cui usufruisce.
Gli obblighi del professionista
Il professionista ha tutta una serie di obblighi, che vengono indicati all’art.5 del Codice del consumo.
In particolare, all’art. 5, viene specificato il contenuto dell’obbligo informativo cui il professionista è tenuto a ottemperare.
Viene infatti stabilito che: “Le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore”.
Il consumatore deve dunque avere piena consapevolezza delle sue scelte e le informazioni devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile.
Per questo motivo, all’art. 6 del Codice del consumo, viene individuato il contenuto minimo delle informazioni che devono essere fornite dal professionista.
Sui prodotti che vengono commercializzati, ad esempio, deve essere specificata l'eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all'uomo, alle cose o all'ambiente ovvero le eventuali precauzioni da seguire nell’utilizzo del prodotto.
Pratiche commerciali scorrette
Nel Codice del consumo vengono dedicati alcuni articoli alle cosiddette “Pratiche commerciali scorrette”.
Si definiscono “pratiche commerciali scorrette” le pratiche che hanno come effetto di "falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori" (art. 18 del Codice del consumo).
Esse dunque alterano “la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.
Le pratiche commerciali scorrette sono espressamente vietate dal Codice del consumo (art. 20).
Nel Codice è fatto inoltre riferimento alle “azioni ingannevoli” (art. 21).
Azione ingannevole può essere definita “una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio”.
L’errore può riguardare alcuni fattori quali le caratteristiche principali del prodotto o il prezzo.
Sono ingannevoli anche le omissioni (art. 22 del Codice del consumo).
All’art. 23 del Codice del consumo sono elencate una serie di pratiche che vengono considerate in ogni caso ingannevoli.
Tra queste, vi è la pratica di “esibire un marchio di fiducia, un marchio di qualità o un marchio equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione”; oppure “asserire, contrariamente al vero, che un professionista, le sue pratiche commerciali o un suo prodotto sono stati autorizzati, accettati o approvati, da un organismo pubblico o privato o che sono state rispettate le condizioni dell'autorizzazione, dell'accettazione o dell'approvazione ricevuta”.
L’art. 24 del Codice del consumo è invece dedicato alle “Pratiche commerciali aggressive”.
Una pratica commerciale aggressiva è quella pratica che “nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.
Nell’art. 26 del Codice del consumo sono elencate pratiche che si considerano in ogni caso aggressive.
Tra queste, quelle che creano l'impressione che “il consumatore non possa lasciare i locali commerciali fino alla conclusione del contratto”.
E’ pratica commerciale aggressiva “effettuare visite presso l'abitazione del consumatore, ignorando gli inviti del consumatore a lasciare la sua residenza o a non ritornarvi”.
L'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha il compito di inibire la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e di eliminarne gli effetti.
A tale fine, l'Autorità si avvale di poteri investigativi ed esecutivi e può anche disporre con provvedimento motivato, la sospensione provvisoria delle pratiche commerciali scorrette, laddove sussista un’urgenza.
Nel Codice del consumo, inoltre, vi sono disposizioni specifiche a tutela dei minori.
All’art. 31 del Codice del consumo viene invero specificato che “La televendita non deve esortare i minorenni a stipulare contratti di compravendita o di locazione di prodotti e di servizi. La televendita non deve arrecare pregiudizio morale o fisico ai minorenni”.
Le clausole vessatorie
Il Codice del consumo, all’art. 33 prevede delle ipotesi specifiche di clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore .
Si considerano vessatorie, malgrado la buona fede, quelle clausole che “determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.
Con riguardo alle clausole vessatorie, dunque:
- non rileva la buona fede dei contraenti;
- le clausole contrattuali devono determinare “un significativo squilibrio di diritti e obblighi” a svantaggio di una delle parti coinvolte nel contratto.
Le clausole vessatorie sono colpite da nullità.
La nullità prevista per le clausole vessatorie riguarda esclusivamente le stesse e non l’intera stipulazione contrattuale.
Si tratta, dunque, di una nullità parziale.
La nullità dell’intera stipulazione contrattuale si risolverebbe, infatti, in uno svantaggio per il consumatore stesso.
Ecco perché il contratto che il consumatore ha concluso è fatto salvo, e la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice.
Contratti a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali
Nel Codice del consumo sono disciplinati i contratti a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali.
Si tratta di una figura particolarmente delicata, che il legislatore ha deciso di disciplinare in maniera specifica, considerati i rischi in cui incorre in tale ipotesi il consumatore.
Nei contratti a distanza, il professionista ha, in primo luogo, una serie di obblighi informativi elencati all’art. 49 del Codice del consumo.
Tra questi, vanno segnalati i seguenti obblighi informativi, relativi a (art. 49 Codice del consumo):
- le caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi; l'identità del professionista;
- l'indirizzo geografico dove il professionista è stabilito;
- il suo numero di telefono e il suo indirizzo elettronico;
- il prezzo totale dei beni o dei servizi comprensivo delle imposte;
- il costo dell'utilizzo del mezzo di comunicazione a distanza per la conclusione del contratto quando tale costo è calcolato su una base diversa dalla tariffa di base.
L'onere della prova relativo all'adempimento degli obblighi di informazione incombe sul professionista.
Sono inoltre previsti obblighi di informazione specifici all’art. 49 bis del Codice del consumo per i contratti conclusi su mercati on line.
I contratti a distanza devono soddisfare alcuni requisiti, contenuti nell’art. 51 del Codice del consumo.
Devono essere soddisfatti al meglio gli obblighi informativi anche se, ad esempio, il contratto è concluso mediante un mezzo di comunicazione a distanza che consente uno spazio o un tempo limitato per comunicare le informazioni.
Nel caso di contratti al telefono è stabilito che “Se il professionista telefona al consumatore al fine di concludere un contratto a distanza, all'inizio della conversazione con il consumatore egli deve rivelare la sua identità e, ove applicabile, l'identità della persona per conto della quale effettua la telefonata, nonché lo scopo commerciale della chiamata e l'informativa di cui all'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 178”.
Il professionista deve confermare l'offerta al consumatore, il quale è vincolato solo dopo aver firmato l'offerta o dopo averla accettata per iscritto; il documento informatico può essere sottoscritto con firma elettronica.
Il professionista deve inviare al consumatore la conferma del contratto concluso entro un termine che sia ragionevole e al più tardi al momento della consegna dei beni oppure prima che l'esecuzione del servizio abbia inizio.
Importante la disciplina relativa all’esercizio del diritto di recesso.
All’art. 52 del Codice del consumo è stabilito che il consumatore ha quattordici giorni di tempo per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali e non è tenuto a fornire alcuna motivazione.
Il consumatore, inoltre, non è tenuto a pagare alcun costo.
Prima della scadenza del periodo di recesso, il consumatore informa il professionista della sua decisione di esercitare il diritto di recesso dal contratto.
L'onere della prova relativa all'esercizio del diritto di recesso incombe sul consumatore.
I contratti relativi a prodotti per le vacanze
Con Decreto Legislativo del 23 maggio 2011, n. 79 è stata data attuazione alla direttiva 2008/122/CE, inerente ai contratti di multiproprietà, ai contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, ai contratti di rivendita e di scambio.
Con il Decreto Legislativo menzionato, in particolare, sono stati disciplinati una serie di contratti che vengono solitamente stipulati dal consumatore con lo scopo di godere di un periodo di vacanza.
In queste situazioni il consumatore si ritrova spesso esposto a una serie di inconvenienti e corre il rischio di essere fortemente danneggiato da un’informazione incompleta.
I contratti in questione sono il contratto di multiproprietà, il contratto relativo a prodotti per le vacanze a lungo termine, il contratto di rivendita e scambio.
Nel Codice viene chiarita la natura delle singole fattispecie contrattuali all’art. 69 del Codice del consumo.
Il contratto di multiproprietà viene definito come “un contratto di durata superiore a un anno tramite il quale un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un periodo di occupazione”.
Il "contratto relativo a un prodotto per le vacanze di lungo termine" è un “contratto di durata superiore a un anno ai sensi del quale un consumatore acquisisce a titolo oneroso essenzialmente il diritto di ottenere sconti o altri vantaggi relativamente ad un alloggio, separatamente o unitamente al viaggio o ad altri servizi”.
Il "contratto di rivendita" è un “contratto ai sensi del quale un operatore assiste a titolo oneroso un consumatore nella vendita o nell'acquisto di una multiproprietà o di un prodotto per le vacanze di lungo termine”.
Nel “contratto di rivendita” vi è dunque un operatore che assiste un consumatore in relazione a un’operazione di acquisto o vendita di una multiproprietà o di un prodotto per le vacanze di lungo termine.
Il "contratto di scambio" è “un contratto ai sensi del quale un consumatore partecipa a titolo oneroso a un sistema di scambio che gli consente l'accesso all'alloggio per il pernottamento o ad altri servizi in cambio della concessione ad altri dell'accesso temporaneo ai vantaggi che risultano dai diritti derivanti dal suo contratto di multiproprietà".
Quest’ultima figura contrattuale, dunque, è relativa all’ipotesi in cui si configuri un vero e proprio scambio.
Un soggetto, ad esempio, può usufruire dell’accesso a un alloggio per pernottare e scambiare con altri i suoi vantaggi che derivano dal contratto di multiproprietà.
Come si può ben vedere, sono tutte figure contrattuali che attengono all’organizzazione della vacanza.
Sono forme contrattuali che si prestano anche a “brutte sorprese”, quando il consumatore non è sufficientemente consapevole di ciò che acquista.
Ecco perché, per ogni figura contrattuale, sono previsti specifici obblighi informativi, specifici obblighi relativi alla forma contrattuale e una specifica disciplina in tema di recesso.
Importanza fondamentale riviste, in particolare, il diritto del consumatore di recedere dal contratto.
Ai sensi dell’art. 73 del Codice del consumo, il consumatore può esercitare il diritto di recesso in un periodo di quattordici giorni, senza specificare il motivo.
Il diritto di recesso da parte del consumatore deve essere esercitato attraverso una comunicazione scritta, “su carta o altro supporto durevole che assicuri la prova della spedizione anteriore alla scadenza del periodo di recesso”.
Nel Codice del consumo è indicato un formulario di recesso all'allegato VII.
Fondamentale ricordare che il consumatore che esercita il diritto di recesso non è tenuto a sostenere alcuna spesa, né pagare alcuna penalità, né deve pagare il servizio reso prima del recesso.
Viene inoltre stabilito che è vietato qualunque versamento di danaro a titolo di acconto da parte di un consumatore a favore dell'operatore o di un terzo prima della fine del periodo di recesso.
Il contratto di multiproprietà
Nel Codice del consumo è disciplinato il contratto di multiproprietà, che si caratterizza per il godimento turnario di uno stesso bene da parte di più soggetti.
Ai sensi dell’art. 69 del Codice del consumo, si definisce "contratto di multiproprietà", quel contratto “di durata superiore a un anno tramite il quale un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un periodo di occupazione”.
Il contratto di multiproprietà deve contenere una serie di requisiti elencati all’art. 72 del Codice del consumo.
Deve essere redatto per iscritto, a pena di nullità, su carta o altro supporto durevole.
Il contratto deve contenere, tra l’altro, l'identità, il luogo di residenza e la firma di ciascuna delle parti, la data e il luogo di conclusione del contratto.
Prima della conclusione del contratto l'operatore deve fornire una serie di informazioni fondamentali al consumatore.
L’operatore è tenuto a informare il consumatore sulle clausole contrattuali concernenti l'esistenza del diritto di recesso, la durata del periodo di recesso e il divieto di versare acconti durante il periodo di recesso.
Il consumatore deve ricevere una copia o più copie del contratto all'atto della sua conclusione.
La Corte di cassazione, sez. II, con sentenza del 19 marzo 2018, n. 6750 ha stabilito che l'istituto della multiproprietà immobiliare richiede che sia individuata la quota di ciascun comproprietario.
Il contratto preliminare che abbia a oggetto la multiproprietà, di conseguenza, deve contenere tutti gli elementi essenziali del futuro contratto definitivo.
Il preliminare deve recare, dunque, l'indicazione della quota nella sua effettiva misura o, comunque, i criteri per la sua determinazione, poiché tali elementi configurano la determinatezza o determinabilità dell'oggetto del contratto ai sensi dell'articolo 1346 c.c..
Secondo la Corte, non è sufficiente l'indicazione del solo periodo di godimento dell'immobile riservato al promissario acquirente.
Il contratto di vacanza a lungo termine
Il contratto di vacanza a lungo termine, come anticipato, è disciplinato dal Codice del consumo, come modificato dal Decreto Legislativo del 23 maggio 2011, n. 79.
Con il contratto relativo a un prodotto per le vacanze a lungo termine, che ha durata superiore a un anno, il consumatore acquista il diritto di ottenere sconti o altri vantaggi relativamente a un alloggio, separatamente o unitamente al viaggio o ad altri servizi.
Come stabilito all’art. 76 del Codice del consumo, il pagamento è effettuato secondo scadenze periodiche.
Viene disposto il divieto di pagamento del prezzo specificato nel contratto che non sia conforme al piano di pagamento periodico concordato.
I pagamenti sono ripartiti in rate annuali, ciascuna di pari valore.
L'operatore deve inviare una richiesta scritta di pagamento, almeno quattordici giorni prima di ciascuna data di esigibilità.
A partire dal secondo pagamento rateale, il consumatore può porre fine al contratto senza incorrere in penali dando preavviso all'operatore entro quattordici giorni dalla ricezione della richiesta di pagamento per ciascuna rata.
I contratti di credito al consumo
I contratti di credito al consumo sono disciplinati nel T.U. Bancario.
Con Decreto Legislativo 13 agosto 2010, n. 14, in attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, sono stati abrogati gli articoli del Codice del Consumo ed è stato modificato il T.U. bancario (Decreto Legislativo 1° settembre 1993, n. 385) con l’introduzione degli artt. 121 e seguenti.
Il contratto di credito al consumo è quel negozio giuridico con il quale un professionista, solitamente una banca, concede un credito a un consumatore, il quale è tenuto a restituire la cifra ricevuta a rate pagando un interesse.
Si tratta di un campo minato, come si può ben vedere, per questo motivo la disciplina prevede una serie di obblighi informativi a carico del professionista che devono essere necessariamente soddisfatti.
I contratti devono essere redatti per iscritto e un esemplare va consegnato ai clienti.
In caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo.
I contratti devono indicare il tasso d'interesse e gli eventuali maggiori oneri in caso di mora.
Una previsione fondamentale riguarda la nullità delle clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati ovvero di quelle clausole che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati (art. 117 T.U. Bancario).
Tali clausole si considerano come non apposte, anche in questa ipotesi, dunque, siamo in presenza di una nullità parziale.
All’art. 123 del T.U. bancario vengono inoltre inserite alcune previsioni specifiche.
Viene disposto, in particolare, che gli annunci pubblicitari che riportano il tasso d'interesse devono indicare le seguenti informazioni di base, “in forma chiara, concisa e graficamente evidenziata con l'impiego di un esempio rappresentativo”:
- il tasso d'interesse, specificando se fisso o variabile, e le spese comprese nel costo totale del credito;
- l'importo totale del credito;
- il TAEG;
- l'esistenza di eventuali servizi accessori necessari per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni pubblicizzate, qualora i costi relativi a tali servizi non siano inclusi nel TAEG in quanto non determinabili in anticipo;
- la durata del contratto, se determinata;
- se determinabile in anticipo, l'importo totale dovuto dal consumatore, nonché l'ammontare delle singole rate.
Il finanziatore o l'intermediario del credito, hanno una serie di obblighi precontrattuali.
In particolare, essi devono fornire al consumatore, prima che egli sia vincolato da un contratto, “le informazioni necessarie per consentire il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato, al fine di prendere una decisione informata e consapevole in merito alla conclusione di un contratto di credito”.
Prima della conclusione del contratto, inoltre, il finanziatore è tenuto a valutare il “merito creditizio del consumatore” sulla base di informazioni che siano adeguate, fornite dal consumatore stesso ovvero estratte da una banca dati pertinente (art.124-bis T.U. bancario).
Se le parti si accordano per una modifica dell'importo totale del credito dopo la conclusione del contratto di credito, il finanziatore aggiorna le informazioni finanziarie e valuta il merito creditizio del medesimo “prima di procedere a un aumento significativo dell'importo totale del credito”.
Alla Banca d'Italia è dato il compito di dettare, in conformità alle deliberazioni del CICR, disposizioni di attuazione delle norme esposte con riferimento a (art.124 del TU bancario):
- il contenuto, i criteri di redazione, le modalità di messa a disposizione delle informazioni precontrattuali;
- le modalità e la portata dei chiarimenti da fornire al consumatore ai sensi del comma 5, anche in caso di contratti conclusi congiuntamente;
- gli obblighi specifici o derogatori da osservare nei casi di: comunicazioni mediante telefonia vocale; aperture di credito regolate in conto corrente;
- dilazioni di pagamento non gratuite e altre modalità agevolate di rimborso di un credito preesistente, concordate tra le parti a seguito di un inadempimento del consumatore;
- offerta attraverso intermediari del credito che operano a titolo accessorio.
Responsabilità per i prodotti difettosi
Un'ipotesi tipica in cui il consumatore si ritrova coinvolto a seguito di un cattivo acquisto, è quella relativa ai prodotti difettosi.
All’art. 114 del Codice del consumo è indicata la responsabilità del produttore per i prodotti difettosi.
Il produttore è infatti responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto.
Quando il produttore non sia individuato, “è sottoposto alla stessa responsabilità il fornitore che abbia distribuito il prodotto nell'esercizio di un'attività commerciale, se ha omesso di comunicare al danneggiato, entro il termine di tre mesi dalla richiesta, l'identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto”.
Un prodotto è da considerarsi difettoso in una serie di ipotesi indicate all’art. 117 del Codice del consumo.
Viene in particolare stabilito che un prodotto è difettoso quando “non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere” tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui (art. 117 del Codice del consumo):
- il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite;
- l'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere;
- il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.
Il danneggiato deve provare il difetto, il danno, e la connessione causale tra difetto e danno.
Il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità (art.120 del Codice del consumo).
Nelle ipotesi di concorso del fatto colposo del danneggiato il risarcimento si valuta secondo le disposizioni dell'articolo 1227 del Codice civile.
All’art. 123 del Codice del consumo viene invece individuato il danno risarcibile.
E’ risarcibile (art. 123 del Codice civile):
- il danno cagionato dalla morte o da lesioni personali;
- la distruzione o il deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso.
Il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e dell'identità del responsabile.
Viene inoltre stabilito che “Nel caso di aggravamento del danno, la prescrizione non comincia a decorrere prima del giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza di un danno di gravità sufficiente a giustificare l'esercizio di un'azione giudiziaria”.
All’art. 126 del Codice del consumo viene inoltre disciplinata la decadenza.
Viene infatti stabilito che il diritto al risarcimento si estingue alla scadenza di dieci anni dal giorno in cui il produttore o l'importatore nella Unione europea ha messo in circolazione il prodotto che ha cagionato il danno.
Come si può tutelare il consumatore?
Il consumatore può tutelarsi attivando una serie di strumenti previsti dall’ordinamento.
In primo luogo, potrà chiedere, ad esempio, che venga dichiarata la vessatorietà di una o più clausole, se contenute nel contratto stipulato.
Potrà inoltre esercitare, ad esempio, il diritto di recesso, che con riguardo a diversi contratti, come visto, può essere esercitato entro quattordici giorni senza fornire alcuna motivazione.
Potrà azionare la class action qualora voglia agire attivando lo strumento della tutela collettiva.
Potrà rivolgersi all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per ottenere una tutela di tipo amministrativo .
A tutela delle ragioni del consumatore viene inoltre prevista una tutela inibitoria all’art. 840 sexiesdecies del Codice di procedura civile: “Chiunque abbia interesse alla pronuncia di una inibitoria di atti e comportamenti, posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti, può agire per ottenere l'ordine di cessazione o il divieto di reiterazione della condotta omissiva o commissiva”.