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20 Luglio 2023
7:00

I contratti del consumatore

La disciplina dei contratti del consumatore costituisce un’acquisizione fondamentale nell’ambito del nostro ordinamento giuridico, poiché è volta a soddisfare le istanze di garanzia del contraente debole, più volte poste all’attenzione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Vediamo nel dettaglio la normativa a tutela del consumatore.

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I contratti del consumatore
Avvocato
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La disciplina dei contratti del consumatore costituisce un’acquisizione fondamentale nell’ambito del nostro ordinamento giuridico, poiché è volta a soddisfare le istanze di garanzia del contraente debole, più volte poste all’attenzione del dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

Il consumatore, infatti, è coinvolto in un rapporto contrattuale con il professionista caratterizzato da asimmetria.

Consumatore e professionista, cioè, non sono sullo stesso piano, in quanto il consumatore si trova in una posizione di svantaggio.

L’asimmetria che caratterizza il rapporto tra consumatore e professionista è prima di tutto un’asimmetria informativa, in quanto è il professionista a detenere tutte le informazioni che riguardano, ad esempio, il funzionamento di un bene oggetto di vendita.

I suoi pregi e difetti.

Ecco perché l’obbligo informativo posto a carico del professionista ha un contenuto alquanto pregnante.

La normativa dei contratti del consumatore ha subito negli anni una notevole evoluzione grazie all’apporto del diritto dell’Unione Europea.

La tutela del consumatore, infatti, in ambito europeo, riveste da sempre carattere prioritario.

I referenti normativi sono contenuti negli articoli del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

All'art. 12 del TFUE è stabilito che: “Nella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attività dell'Unione sono prese in considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori”.

All’art. art. 114 del TFUE, rubricato “Ravvicinamento delle legislazioni” è in particolare disposto che la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio, in materia di "sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e protezione dei consumatori", devono fare riferimento a un "livello di protezione elevato".

All’art. 169 TFUE è in particolare specificato che l'Unione contribuisce a promuovere il diritto dei consumatori all'informazione, all'educazione e all'organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi.

Il Codice del consumo

Le istituzioni dell’Unione mostrano da sempre una particolare sensibilità per i diritti dei consumatori, infatti, la normativa approvata dagli organi dell’Unione europea costituisce il motore primario nel processo di evoluzione del diritto dei consumatori.

Nel nostro ordinamento, una serie di provvedimenti legislativi sono stati approvati sulla spinta di alcune, fondamentali direttive, emanate in ambito europeo:

Per citare alcuni esempi:

  • la Direttiva  85/374/CEE  relativa  al ravvicinamento   delle   disposizioni  legislative,  regolamentari  e amministrative  degli  Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi;
  • la Direttiva 85/577/CEE  in  materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali;
  • la Direttiva 90/314/CEE concernente i viaggi,  le vacanze e i circuiti tutto compreso;
  • la Direttiva 93/13/CEE concernente  le  clausole abusive nei contratti stipulati  con  i  consumatori;
  • la Direttiva  97/7/CE  relativa  alla  protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza;
  • la Direttiva 98/27/CE  relativa  a  provvedimenti inibitori  a tutela  degli  interessi  dei  consumatori.

Il recepimento delle direttive sopra citate ha comportato, negli anni, una stratificazione normativa cui era necessario porre rimedio.

Il Codice del consumo, adottato con Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206 ha rappresentato l’occasione per mettere ordine nella disciplina.

Il contenuto della normativa sulla tutela dei consumatori è ben delineato all’art. 4 Codice del consumo ove è stabilito che “L'educazione  dei  consumatori  e  degli  utenti è orientata a favorire  la consapevolezza dei loro diritti e interessi, lo sviluppo dei  rapporti   associativi, la partecipazione ai procedimenti amministrativi, nonché la rappresentanza negli  organismi esponenziali”.

Nel Codice del consumo, infatti, vi sono numerose disposizioni tese a favorire la consapevolezza dei consumatori e il loro diritto a essere informati.

Vengono inoltre disciplinati una serie di contratti in maniera specifica, quale, ad esempio, il contratto di multiproprietà, per assicurare al meglio la protezione del consumatore che, nell’ambito di tali rapporti, assume la posizione di contraente debole.

Chi è il consumatore?

La disciplina contenuta nel Codice del consumo reca una definizione di consumatore all’art.3.

In base a quanto stabilito dal Codice è consumatore o utente: “la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale  o professionale eventualmente svolta”.

Consumatore è, dunque, esclusivamente la persona fisica e non la persona giuridica.

Egli deve agire, inoltre, al di fuori dello svolgimento della sua attività.

Facciamo un esempio.

Un architetto, il quale acquisti un computer per regalarlo a suo figlio agisce per scopi personali, ed è dunque un consumatore; qualora, invece, egli acquisti un computer per il suo ufficio non può definirsi consumatore, poiché il computer gli servirà per l’esercizio della sua attività professionale.

Viene invece considerato professionista: “la persona fisica o giuridica che  agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario”.

Il condominio è un consumatore?

In giurisprudenza è stato sottolineato che va considerato consumatore anche il condominio, nella persona dell’amministratore, il quale, ad esempio, stipuli con una società di servizi un contratto di manutenzione dell’ascensore condominiale.

La Cassazione ha in diverse occasioni specificato che non riconoscere al condominio la qualità di consumatore risulterebbe discriminatorio.

Il condominio è, tuttavia, un ente di gestione privo di personalità giuridica, di conseguenza la qualità di consumatore andrebbe riconosciuta all’amministratore che lo rappresenta.

Sulla questione è intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione europea con sentenza del 2 aprile 2020, causa c-329/19.

Il giudice del rinvio chiedeva, in sostanza, se fosse contrastante con il diritto dell’Unione europea una giurisprudenza nazionale che interpretasse la normativa di recepimento nel diritto interno in modo tale che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene risultassero applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano.

La Corte di Giustizia ha precisato che il criterio interpretativo più adeguato deve essere quello che sottende un livello di tutela più elevato per i consumatori e non pregiudichi le disposizioni dei trattati.

In pratica, ha chiarito la Corte di Giustizia, che una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento del diritto dell’Unione europea nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, non è contrastante con il diritto dell’Unione europea, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea, in quanto la direttiva 93/13 all’articolo 2, lettera b) reca una definizione di “consumatore” che deve intendersi riferita a “qualsiasi persona fisica”.

I diritti dei consumatori

Ai   consumatori  e  agli  utenti  sono  riconosciuti  come fondamentali alcuni diritti che sono elencati all’art. 2 del Codice del consumo, che si riporta:

  • la tutela della salute;
  • la sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi;
  • una adeguata informazione e una corretta pubblicità;
  • l'esercizio delle pratiche  commerciali  secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà;
  • l'educazione al consumo;
  • la correttezza, la trasparenza e l'equità nei rapporti contrattuali;
  • la  promozione e lo sviluppo dell'associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti;
  • l'erogazione  di  servizi  pubblici  secondo  standard  di qualità e di efficienza.

Minimo comune denominatore dei diritti sopra menzionati è, in sostanza, la trasparenza, poiché il consumatore deve essere correttamente e adeguatamente informato circa gli acquisti che si trova a effettuare e i servizi di cui usufruisce.

Gli obblighi del professionista

Il professionista ha tutta una serie di obblighi, che vengono indicati all’art.5 del Codice del consumo.

In particolare, all’art. 5, viene specificato il contenuto dell’obbligo informativo cui il professionista è tenuto a ottemperare.

Viene infatti stabilito che: “Le  informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere  adeguate  alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto anche conto delle modalità di conclusione  del  contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore”.

Il consumatore deve dunque avere piena consapevolezza delle sue scelte e le informazioni devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile.

Per questo motivo, all’art. 6 del Codice del consumo, viene individuato il contenuto minimo delle informazioni che devono essere fornite dal professionista.

Sui prodotti che vengono commercializzati, ad esempio, deve essere specificata l'eventuale  presenza  di  materiali o sostanze che possono arrecare danno all'uomo, alle cose o all'ambiente ovvero le eventuali precauzioni  da seguire nell’utilizzo del prodotto.

Pratiche commerciali scorrette

Nel Codice del consumo vengono dedicati alcuni articoli alle cosiddette “Pratiche commerciali scorrette”.

Si definiscono “pratiche commerciali scorrette” le pratiche che hanno come effetto di  "falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori" (art. 18 del Codice del consumo).

Esse dunque alterano “la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.

Le pratiche commerciali scorrette sono espressamente vietate dal Codice del consumo (art. 20).

Nel Codice è fatto inoltre riferimento alle “azioni ingannevoli” (art. 21).

Azione ingannevole può essere definita “una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva,  induce  o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio”.

L’errore può riguardare alcuni fattori quali le caratteristiche principali del prodotto o il prezzo.

Sono ingannevoli anche le omissioni (art. 22 del Codice del consumo).

All’art. 23 del Codice del consumo sono elencate una serie di pratiche che vengono considerate in ogni caso ingannevoli.

Tra queste, vi è la pratica di “esibire un marchio di fiducia, un marchio  di  qualità  o  un marchio equivalente senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione”; oppure “asserire, contrariamente al vero, che  un  professionista,  le sue pratiche commerciali o un suo prodotto  sono  stati  autorizzati, accettati o approvati, da un organismo pubblico o privato o che sono state rispettate le condizioni dell'autorizzazione, dell'accettazione o dell'approvazione ricevuta”.

L’art. 24 del Codice del consumo è invece dedicato alle “Pratiche commerciali aggressive”.

Una pratica commerciale aggressiva è quella pratica che “nella fattispecie concreta, tenuto  conto  di  tutte le caratteristiche e circostanze  del  caso,  mediante  molestie, coercizione, compreso il ricorso  alla  forza  fisica  o indebito condizionamento, limita o è idonea  a  limitare  considerevolmente  la  libertà di  scelta o di comportamento  del  consumatore  medio  in  relazione  al prodotto e, pertanto,  lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.

Nell’art. 26 del Codice del consumo sono elencate pratiche che si considerano in ogni caso aggressive.

Tra queste, quelle che creano l'impressione che “il consumatore non possa  lasciare  i locali commerciali fino alla conclusione del contratto”.

E’ pratica commerciale aggressivaeffettuare visite presso l'abitazione  del  consumatore, ignorando gli inviti del consumatore a lasciare la sua residenza o  a non ritornarvi”.

L'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha il compito di inibire la  continuazione delle pratiche commerciali scorrette e di eliminarne gli effetti.

A tale fine, l'Autorità si avvale di poteri investigativi ed esecutivi e può anche disporre con provvedimento motivato, la sospensione provvisoria delle pratiche commerciali scorrette, laddove sussista un’urgenza.

Nel Codice del consumo, inoltre, vi sono disposizioni specifiche a tutela dei minori.

All’art. 31 del Codice del consumo viene invero specificato che “La  televendita  non  deve  esortare  i  minorenni  a stipulare contratti di compravendita o di locazione di prodotti e di servizi. La televendita non  deve  arrecare  pregiudizio  morale o fisico ai minorenni”.

Le clausole vessatorie

Il Codice del consumo, all’art. 33 prevede delle ipotesi specifiche di clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore .

Si considerano vessatorie, malgrado la buona fede, quelle clausole che “determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio  dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.

Con riguardo alle clausole vessatorie, dunque:

  • non rileva la buona fede dei contraenti;
  • le clausole contrattuali devono determinare “un significativo squilibrio di diritti e obblighi” a svantaggio di una delle parti coinvolte nel contratto.

Le clausole vessatorie sono colpite da nullità.

La nullità prevista per le clausole vessatorie riguarda esclusivamente le stesse e non l’intera stipulazione contrattuale.

Si tratta, dunque, di una nullità parziale.

La nullità dell’intera stipulazione contrattuale si risolverebbe, infatti, in uno svantaggio per il consumatore stesso.

Ecco perché il contratto che il consumatore ha concluso è fatto salvo, e la  nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice.

Contratti a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali

Nel Codice del consumo sono disciplinati i contratti a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali.

Si tratta di una figura particolarmente delicata, che il legislatore ha deciso di disciplinare in maniera specifica, considerati i rischi in cui incorre in tale ipotesi il consumatore.

Nei contratti a distanza, il professionista ha, in primo luogo, una serie di obblighi informativi elencati all’art. 49 del Codice del consumo.

Tra questi, vanno segnalati i seguenti obblighi informativi, relativi a (art. 49 Codice del consumo):

  • le caratteristiche principali dei beni o servizi, nella misura adeguata al supporto e ai beni o servizi; l'identità del professionista
  • l'indirizzo geografico dove il professionista è stabilito;
  • il suo numero di telefono e il suo indirizzo elettronico;
  • il prezzo totale dei beni  o  dei  servizi  comprensivo  delle imposte;    
  • il costo dell'utilizzo del mezzo di comunicazione  a  distanza per la conclusione del contratto quando tale costo  è calcolato  su una base diversa dalla tariffa di base.

L'onere della prova relativo all'adempimento degli obblighi di informazione incombe sul professionista.

Sono inoltre previsti obblighi di informazione specifici all’art. 49 bis del Codice del consumo per i contratti conclusi su mercati on line.

I contratti a distanza devono soddisfare alcuni requisiti, contenuti nell’art. 51 del Codice del consumo.

Devono essere soddisfatti al meglio gli obblighi informativi anche se, ad esempio, il contratto è concluso mediante un mezzo di comunicazione a distanza che consente uno spazio o un tempo limitato per comunicare le informazioni.

Nel caso di contratti al telefono è stabilito che “Se il  professionista  telefona  al consumatore al fine di concludere un contratto a distanza, all'inizio della conversazione con il consumatore  egli  deve  rivelare  la  sua identità e, ove applicabile, l'identità della  persona  per  conto della quale effettua la  telefonata,  nonché lo  scopo  commerciale della chiamata e l'informativa di cui all'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 178”.

Il professionista deve confermare l'offerta al consumatore, il quale è vincolato solo dopo aver firmato l'offerta o dopo averla accettata per iscritto; il  documento  informatico  può essere sottoscritto con firma elettronica.

Il professionista  deve inviare al  consumatore  la  conferma  del contratto concluso entro un termine che sia ragionevole e al  più tardi  al momento della consegna dei beni oppure  prima  che  l'esecuzione  del servizio abbia inizio.

Importante la disciplina relativa all’esercizio del diritto di recesso.

All’art. 52 del Codice del consumo è stabilito che  il  consumatore ha  quattordici  giorni  di tempo per  recedere  da  un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali  commerciali e non è tenuto a fornire  alcuna motivazione.

Il consumatore, inoltre, non è tenuto a pagare alcun costo.

Prima della scadenza del periodo di  recesso,  il  consumatore informa il  professionista  della  sua  decisione  di  esercitare  il diritto di recesso dal contratto.

L'onere  della  prova  relativa  all'esercizio  del  diritto  di recesso incombe sul consumatore.

I contratti relativi a prodotti per le vacanze

Con Decreto Legislativo del 23 maggio 2011, n. 79 è stata data attuazione alla direttiva 2008/122/CE, inerente ai contratti di multiproprietà, ai contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, ai contratti di rivendita e di scambio.

Con il Decreto Legislativo menzionato, in particolare, sono stati disciplinati una serie di contratti che vengono solitamente stipulati dal consumatore con lo scopo di godere di un periodo di vacanza.

In queste situazioni il consumatore si ritrova spesso esposto a una serie di inconvenienti e corre il rischio di essere fortemente danneggiato da un’informazione incompleta.

I contratti in questione sono il contratto di multiproprietà, il contratto relativo a prodotti per le vacanze a lungo termine, il contratto di rivendita e scambio.

Nel Codice viene chiarita la natura delle singole fattispecie contrattuali all’art. 69 del Codice del consumo.

Il contratto di multiproprietà viene definito come “un contratto di durata superiore a un anno tramite il  quale  un  consumatore  acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi  per  il pernottamento per più di un periodo di occupazione”.

Il "contratto relativo a un prodotto  per  le  vacanze  di  lungo termine" è un “contratto di durata superiore a un  anno  ai  sensi  del quale un consumatore acquisisce a titolo  oneroso  essenzialmente  il diritto di ottenere sconti  o  altri  vantaggi  relativamente  ad  un alloggio, separatamente o unitamente al viaggio o ad altri servizi”.

Il "contratto di rivendita" è un “contratto ai sensi del  quale  un operatore assiste a titolo oneroso un  consumatore  nella  vendita  o nell'acquisto di una multiproprietà o di un prodotto per le vacanze di lungo termine.

Nel “contratto di rivendita vi è dunque un operatore che assiste un consumatore in relazione a un’operazione di acquisto o vendita di una multiproprietà o di un prodotto per le vacanze di lungo termine.

Il "contratto di scambio" è “un contratto ai  sensi  del  quale  un consumatore partecipa a titolo oneroso a un sistema di scambio che gli consente l'accesso all'alloggio per il pernottamento o ad altri servizi in cambio della concessione ad altri dell'accesso  temporaneo ai vantaggi che risultano dai diritti derivanti dal suo contratto di multiproprietà".

Quest’ultima figura contrattuale, dunque, è relativa all’ipotesi in cui si configuri un vero e proprio scambio.

Un soggetto, ad esempio, può usufruire dell’accesso a un alloggio per pernottare e scambiare con altri i suoi vantaggi che derivano dal contratto di multiproprietà.

Come si può ben vedere, sono tutte figure contrattuali che attengono all’organizzazione della vacanza.

Sono forme contrattuali che si prestano anche a “brutte sorprese”, quando il consumatore non è sufficientemente consapevole di ciò che acquista.

Ecco perché, per ogni figura contrattuale, sono previsti specifici obblighi informativi, specifici obblighi relativi alla forma contrattuale e una specifica disciplina in tema di recesso.

Importanza fondamentale riviste, in particolare, il diritto del consumatore di recedere dal contratto.

Ai sensi dell’art. 73 del Codice del consumo, il consumatore può esercitare il diritto di recesso in un  periodo  di  quattordici  giorni, senza  specificare  il  motivo.

Il diritto di recesso  da  parte  del  consumatore  deve essere esercitato attraverso una  comunicazione scritta, “su carta o altro supporto durevole che assicuri la prova  della  spedizione  anteriore  alla  scadenza  del periodo di  recesso”.

Nel Codice del consumo è indicato un formulario di recesso all'allegato VII.

Fondamentale ricordare che il consumatore che esercita il diritto di recesso non è tenuto a sostenere  alcuna spesa, né  pagare  alcuna  penalità,  né deve pagare il servizio reso  prima del recesso.

Viene inoltre stabilito che è vietato qualunque versamento di  danaro a  titolo  di   acconto da parte di un consumatore a favore dell'operatore o di un terzo  prima  della  fine del periodo di recesso.

Il contratto di multiproprietà

Nel Codice del consumo è disciplinato il contratto di multiproprietà, che si caratterizza per il godimento turnario di uno stesso bene da parte di più soggetti.

Ai sensi dell’art. 69 del Codice del consumo, si definisce "contratto  di  multiproprietà",  quel contratto  “di   durata superiore a un anno tramite il  quale  un  consumatore  acquisisce  a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi  per  il pernottamento per più di un periodo di occupazione”.

Il contratto di multiproprietà deve contenere una serie di requisiti elencati all’art. 72 del Codice del consumo.

Deve essere redatto per iscritto,  a  pena  di nullità, su carta o altro supporto durevole.

Il  contratto deve contenere, tra l’altro, l'identità, il luogo di residenza  e  la  firma  di  ciascuna delle parti, la data e il luogo di conclusione del contratto.

Prima della conclusione del  contratto  l'operatore deve fornire una serie di informazioni fondamentali al consumatore.

L’operatore è tenuto a informare il consumatore sulle clausole contrattuali concernenti  l'esistenza  del diritto di  recesso,  la  durata  del  periodo  di  recesso  e il divieto di versare acconti durante il periodo di recesso.

Il consumatore deve ricevere una  copia  o  più  copie  del  contratto all'atto della sua conclusione.

La Corte di cassazione, sez. II, con sentenza del 19 marzo 2018, n. 6750 ha stabilito che l'istituto della multiproprietà immobiliare richiede che sia individuata la quota di ciascun comproprietario.

Il contratto preliminare che abbia a oggetto la multiproprietà, di conseguenza, deve contenere tutti gli elementi essenziali del futuro contratto definitivo.

Il preliminare deve recare, dunque, l'indicazione della quota nella sua effettiva misura o, comunque, i criteri per la sua determinazione, poiché tali elementi configurano la determinatezza o determinabilità dell'oggetto del contratto ai sensi dell'articolo 1346 c.c..

Secondo la Corte, non è sufficiente l'indicazione del solo periodo di godimento dell'immobile riservato al promissario acquirente.

Il contratto di vacanza a lungo termine

Il contratto di vacanza a lungo termine, come anticipato, è disciplinato dal Codice del consumo, come modificato dal Decreto Legislativo del 23 maggio 2011, n. 79.

Con il contratto relativo a un prodotto per le vacanze a lungo termine, che ha durata superiore a un anno, il consumatore acquista il diritto di ottenere sconti o altri vantaggi relativamente a un alloggio, separatamente o unitamente al viaggio o ad altri servizi.

Come stabilito all’art. 76 del Codice del consumo, il pagamento è effettuato secondo scadenze  periodiche.

Viene disposto il divieto di pagamento del prezzo specificato nel contratto che non sia conforme  al  piano  di  pagamento periodico  concordato.

I pagamenti sono ripartiti in  rate annuali, ciascuna di pari  valore.

L'operatore deve inviare una richiesta scritta  di  pagamento, almeno  quattordici  giorni  prima di ciascuna data di esigibilità.

A  partire  dal secondo  pagamento  rateale,  il  consumatore  può  porre  fine   al contratto senza incorrere in  penali  dando  preavviso  all'operatore entro quattordici giorni dalla  ricezione della richiesta di pagamento per ciascuna rata.

I contratti di credito al consumo

I contratti di credito al consumo sono disciplinati nel T.U. Bancario.

Con Decreto Legislativo 13 agosto 2010, n. 14, in attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, sono stati abrogati gli articoli del Codice del Consumo ed è stato modificato il T.U. bancario (Decreto  Legislativo  1°  settembre 1993, n. 385) con l’introduzione degli artt. 121 e seguenti.

Il contratto di credito al consumo è quel negozio giuridico con il quale un professionista, solitamente una banca, concede un credito a un consumatore, il quale è tenuto a restituire la cifra ricevuta a rate pagando un interesse.

Si tratta di un campo minato, come si può ben vedere, per questo motivo la disciplina prevede una serie di obblighi informativi a carico del professionista che devono essere necessariamente soddisfatti.

I  contratti  devono essere  redatti  per  iscritto  e  un  esemplare va consegnato ai clienti.

In caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo.

I contratti devono indicare il tasso d'interesse e gli eventuali maggiori oneri in caso di mora.

Una previsione fondamentale riguarda la nullità delle clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione  dei  tassi  di interesse e di ogni  altro  prezzo  e  condizione  praticati  ovvero di quelle clausole che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli  per i clienti di quelli pubblicizzati (art. 117 T.U. Bancario).

Tali clausole si considerano come non apposte, anche in questa ipotesi, dunque, siamo in presenza di una nullità parziale.

All’art. 123 del T.U. bancario vengono inoltre inserite alcune previsioni specifiche.

Viene disposto, in particolare, che gli annunci pubblicitari che riportano il tasso d'interesse devono indicare le  seguenti informazioni  di  base,  “in  forma chiara, concisa e graficamente evidenziata con l'impiego di un esempio rappresentativo”:

  • il tasso d'interesse, specificando se fissovariabile,  e  le spese comprese nel costo totale del credito;
  • l'importo totale del credito;
  • il TAEG;
  • l'esistenza  di  eventuali  servizi  accessori  necessari   per ottenere il credito o per ottenerlo  alle  condizioni  pubblicizzate, qualora i costi relativi a tali servizi non siano inclusi nel TAEG in quanto non determinabili in anticipo;
  • la durata del contratto, se determinata;
  • se determinabile  in  anticipo,  l'importo  totale  dovuto  dal consumatore, nonché l'ammontare delle singole rate.

Il finanziatore o l'intermediario del credito, hanno una serie di obblighi precontrattuali.

In particolare, essi devono fornire  al consumatore, prima che egli  sia  vincolato  da  un  contratto, “le informazioni necessarie per  consentire  il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato,  al  fine  di prendere  una  decisione  informata  e  consapevole  in  merito  alla conclusione di un contratto di credito”.

Prima della conclusione del contratto, inoltre, il finanziatore è tenuto a valutare il “merito creditizio del consumatore” sulla base di informazioni che siano adeguate, fornite dal consumatore stesso ovvero estratte da una banca dati pertinente (art.124-bis T.U. bancario).

Se le  parti si accordano per una modifica dell'importo totale del credito dopo la conclusione del contratto di credito, il finanziatore aggiorna le informazioni  finanziarie  e valuta il  merito  creditizio  del  medesimo “prima  di procedere  a un  aumento  significativo  dell'importo  totale   del credito”.

Alla Banca d'Italia è dato il compito di dettare, in conformità alle deliberazioni  del  CICR, disposizioni  di  attuazione  delle norme esposte con riferimento a (art.124 del TU bancario):

  • il contenuto, i criteri di redazione, le modalità di  messa  a disposizione delle informazioni precontrattuali;
  • le  modalità e  la  portata  dei  chiarimenti  da  fornire  al consumatore ai sensi del comma 5, anche in caso di contratti conclusi congiuntamente;
  • gli obblighi specifici o derogatori da osservare  nei  casi  di: comunicazioni mediante telefonia vocale; aperture di credito regolate in conto corrente;
  • dilazioni  di  pagamento  non  gratuite  e  altre modalità agevolate  di  rimborso  di   un   credito   preesistente, concordate  tra  le  parti  a  seguito  di   un   inadempimento   del consumatore;
  • offerta attraverso intermediari del credito che  operano a titolo accessorio.

Responsabilità per i prodotti difettosi

Un'ipotesi tipica in cui il consumatore si ritrova coinvolto a seguito di un cattivo acquisto, è quella relativa ai prodotti difettosi.

All’art. 114 del Codice del consumo è indicata la responsabilità del produttore per i prodotti difettosi.

Il produttore è infatti responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto.

Quando  il  produttore  non sia individuato, “è sottoposto alla stessa responsabilità il fornitore che abbia distribuito il prodotto nell'esercizio  di  un'attività  commerciale,  se  ha  omesso  di comunicare  al  danneggiato,  entro  il  termine  di  tre  mesi dalla richiesta,  l'identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto”.

Un prodotto è da considerarsi difettoso in una serie di ipotesi indicate all’art. 117 del Codice del consumo.

Viene in particolare stabilito che un prodotto è difettoso quando “non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere” tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui (art. 117 del Codice del consumo):

  • il  modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua  presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite;
  • l'uso al quale il prodotto  può essere  ragionevolmente destinato e i  comportamenti  che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere;
  • il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

Il  danneggiato  deve  provare  il  difetto,  il  danno,  e  la connessione causale tra difetto e danno.

Il  produttore  deve  provare  i fatti che possono escludere la responsabilità (art.120 del Codice del consumo).

Nelle  ipotesi di concorso del fatto colposo del danneggiato il risarcimento si valuta secondo le disposizioni dell'articolo 1227 del Codice civile.

All’art. 123 del Codice del consumo viene invece individuato il danno risarcibile.

E’ risarcibile (art. 123 del Codice civile):

  • il danno cagionato dalla morte o da lesioni personali;
  • la  distruzione o il deterioramento di una cosa diversa dal prodotto  difettoso.

Il  diritto al risarcimento si prescrive in tre anni dal giorno in  cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e dell'identità del responsabile.

Viene inoltre stabilito che “Nel caso di aggravamento del danno, la prescrizione non comincia a decorrere prima del giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto  avere  conoscenza  di  un  danno  di  gravità sufficiente a giustificare l'esercizio di un'azione giudiziaria”.

All’art. 126 del Codice del consumo viene inoltre disciplinata la decadenza.

Viene infatti stabilito che il diritto al risarcimento si estingue alla scadenza di dieci anni  dal  giorno  in  cui il produttore o l'importatore nella Unione europea  ha  messo  in  circolazione  il prodotto che ha cagionato il danno.

Come si può tutelare il consumatore?

Il consumatore può tutelarsi attivando una serie di strumenti previsti dall’ordinamento.

In primo luogo, potrà chiedere, ad esempio, che venga dichiarata la vessatorietà di una o più clausole, se contenute nel contratto stipulato.

Potrà inoltre esercitare, ad esempio, il diritto di recesso, che con riguardo a diversi contratti, come visto, può essere esercitato entro quattordici giorni senza fornire alcuna motivazione.

Potrà azionare la class action qualora voglia agire attivando lo strumento della tutela collettiva.

Potrà rivolgersi all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per ottenere una tutela di tipo amministrativo .

A tutela delle ragioni del consumatore viene inoltre prevista una tutela inibitoria all’art. 840 sexiesdecies del Codice di procedura civile: “Chiunque abbia interesse alla pronuncia di una inibitoria di atti e comportamenti, posti in essere in pregiudizio di una pluralità  di individui o enti, può agire per ottenere l'ordine di cessazione o il divieto di reiterazione della  condotta  omissiva  o  commissiva”.

Laureata con lode in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Ho poi conseguito la specializzazione presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali, sono stata collaboratrice della cattedra di diritto pubblico comparato e ho svolto la professione di avvocato. Sono autrice e coautrice di numerosi manuali, alcuni tra i più noti del diritto civile e amministrativo. Sono inoltre autrice di numerosi articoli giuridici e ho esperienza pluriennale come membro di comitato di redazione. Per Lexplain sono editor per l'area "diritto" e per l'area "fisco". 
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