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26 Marzo 2024
15:00

Fine dello smart working in Italia: cosa cambia a partire dal 1 aprile 2024 e come richiederlo al datore di lavoro

Lo smart working finisce il 31 marzo, lavoratori fragili e genitori di figli under 14 non potranno più lavorare da remoto. Per continuare con lo smartworking sarà necessario stipulare in forma scritta un accordo individuale con l'azienda.

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Fine dello smart working in Italia: cosa cambia a partire dal 1 aprile 2024 e come richiederlo al datore di lavoro
Dottoressa in Giurisprudenza
Fine dello smart working in Italia: ecco cosa cambia a partire dal 1 aprile 2024 e come richiederlo al datore di lavoro

A partire dal 1 aprile lavorare da casa non sarà più un diritto perché tutti i lavoratori torneranno alla modalità ordinaria.

In Italia la modalità di lavoro agile per i dipendenti ha i giorni contati: lo smart working finisce il 31 marzo 2024, con la conseguenza che i lavoratori fragili e i genitori con figli sotto i 14 anni non potranno più accedere al regime semplificato.

Per continuare lo smart working sarà infatti necessario sottoscrivere un accordo individuale con l’azienda, a patto che vengano rispettati i requisiti minimi dell'accordo e dando priorità alle richieste provenienti da alcune tipologie di lavoratori.

Vediamo cosa dice la legge in tema di lavoro agile, come ricevere l’ok dal proprio datore di lavoro e chi ha diritto all’accesso prioritario.

Cosa è successo allo smart working?

Le aspettative di un ulteriore rinnovo in tema di lavoro agile sono state ufficialmente disattese dal Decreto Milleproroghe 2024.

Nel caso dei dipendenti pubblici il termine era già stato fissato lo scorso 31 dicembre 2023, pur rimanendo in vigore per i lavoratori fragili e previa ripartizione organizzativa da parte del dirigente responsabile.

Diversamente, per i dipendenti del settore privato, lo stop arriva il 31 marzo 2024 e sarà applicato ai soggetti fragili e ai genitori degli under14.

Lo smart working è entrato a far parte della quotidianità di migliaia di lavoratori che, a partire dall’emergenza causata dal Covid-19, ha consentito la prosecuzione delle attività lavorative e rispondendo prontamente al blocco totale degli affari italiani.

L’attivazione era il frutto di una liberalizzazione della disciplina, ricorrendo alla cd. modalità semplificata, ovvero senza la necessità di accordi individuali.

A seguito delle numerose proroghe e dei diversi ambiti di applicazione riconosciuti, la consapevolezza di poter ricorrere al lavoro agile come strumento di flessibilità capace di fronteggiare la tutela della salute del lavoratore e gli obiettivi di produttività è diventato un dato di fatto.

Tuttavia, a oggi, l’esigenza di prorogare ancora una volta l’applicazione del lavoro agile si ritiene superata. Il risultato è che a partire dal 1 aprile 2024 tornerà a essere obbligatorio sottoscrivere un accordo con l’azienda che andrà conservato per 5 anni ai fini della prova.

La disciplina dello smart working nei contratti collettivi privati

Lo smart working è andato via via affermandosi come la modalità ordinaria per adempiere alla propria prestazione lavorativa.

Nato con lo scopo di rispondere all’esigenze di work-life balance (ovvero, la conciliazione vita-lavoro) dei dipendenti, ma anche incentivare la competitività e la produttività delle aziende abbattendo i costi di interesse esclusivo del datore di lavoro, il lavoro agile ha rappresentato una soluzione win-win.

La disciplina di riferimento dello smart working è la Legge del 22 maggio 2017, n. 81 che ha introdotto l’applicazione del lavoro agile come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato e stabilita mediante accordo tra le parti.

Successivamente, il Protocollo Nazionale sul Lavoro Agile nel settore privato ha fornito le linee di indirizzo idonee a gettare le basi per un futuro quadro normativo della contrattazione collettiva.

Il protocollo rappresenta una normativa innovativa poichè, frutto di un’analisi condotta dal gruppo di studio, precisa come la giornata lavorativa del dipendente in smart working è caratterizzata per:

  • l’assenza di un preciso orario di lavoro;
  • l’autonomia dello svolgimento della prestazione in linea con gli obiettivi prefissati.

Per questa ragione, l’attività di lavoro può essere articolata in fasce orarie e precisando la fascia di disconnessione durante la quale il lavoratore non svolge la prestazione. Durante le giornate di smart working, di norma, non può essere previsto e autorizzato lo straordinario.

Inoltre, il dipendente ha diritto a fruire dei permessi orari (così come per particolari motivi personali o per familiari disabili). Nel caso di malattie, infortuni, ferie, permessi retribuiti e in genere assenze legittime, il lavoratore può disattivare i dispositivi e non è obbligato a prendere in carico eventuali lavorazioni inviategli.

Per quanto riguarda invece il luogo di lavoro: “il lavoratore è libero di individuare il luogo ove svolgere la prestazione in modalità agile purchè abbia le caratteristiche tali da consentire la regolare esecuzione della prestazione”.

Il dipendente può scegliere in piena libertà e autonomia qualunque posto gli consenta di svolgere la mansione durante lo smart working e senza dover indicare l’ubicazione preciso (per esempio, l’indirizzo di casa), a patto che vengano rispettate le condizioni di sicurezza, riservatezza e liceità del trattamento dei dati e delle informazioni aziendali.

Al più la contrattazione collettiva può individuare i cd. luoghi inidonei, ovvero quelli che non siano adatti allo svolgimento dell’attività di lavoro perché incapaci di tutelare la salute del dipendente e la riservatezza aziendale.

L’accordo individuale in azienda per lo smart working

Per poter svolgere la propria attività lavorativa in modalità agile, ovvero il cd. smart working, è necessario stipulare in forma scritta un accordo individuale tra dipendente e datore di lavoro.

E’ importante ricorda che il lavoro agile si fonda su alcuni aspetti imprescindibili, quali:

  • è frutto di un’adesione volontaria, ovvero né il dipendente può pretendere di lavorare a distanza, né tanto meno il datore di lavoro potrà imporlo unilateralmente;
  • il dipendente che rifiuti di lavorare da remoto non può essere soggetto ad alcun procedimento disciplinare o licenziamento;
  • l’accordo scritto tra azienda e dipendente deve rispettare alcuni requisiti minimi.

Quanto ai requisiti minimi, l’accordo individuale sottoscritto tra azienda e lavoratore deve contenere almeno:

  • la durata dell’accordo, che può essere a termine o indeterminato;
  • la fissazione dei periodi da svolgere all’interno degli uffici e da remoto;
  • i luoghi esclusi per lo svolgimento dell’attività lavorativa, vale a dire i cd. luoghi inidonei;
  • il rispetto della correttezza del dipendente, pena l’applicazione di sanzioni disciplinare;
  • gli strumenti e le attrezzature messe a disposizione da parte dell’azienda e quelle di proprietà del dipendente;
  • i tempi di riposo necessari a tutelare il diritto alla disconnessione del lavoratore;
  • le forme e le modalità di controllo della prestazione lavorativa da remoto;
  • le modalità di esercizio dei diritti sindacali;
  • ove necessario, l’attività formativa per svolgere il lavoro da remoto.

In ogni caso, in presenza di un giustificato motivo, sia l’azienda sia il dipendente possono recedere dall’accordo prima del termine.

Le comunicazioni obbligatorie da parte dei datori di lavoro

Le aziende, ovvero i datori di lavoro del settore privato, saranno tenuti al rispetto delle comunicazioni obbligatorie a pena dell’applicazione di una sanzione amministrativa per ogni lavoratore interessato.

Il datore di lavoro dovrà inviare la comunicazione di inizio periodo di smart working e di proroga entro i 5 giorni successivi.

Smart working, a chi è riconosciuta la priorità?

La fine dello smart working, come visto, è fissata per il 31 marzo e con il risultato che a partire dal 1 aprile la possibilità di raggiungere un accordo individuale con l’azienda dovrà rispettare un vero e proprio ordine di priorità.

Il datore che intenda stipulare l’accordo di lavoro da remoto dovrà dare priorità alle richieste formulate dai genitori con figli di età fino a 12 anni, oppure senza limiti d’età in caso di figli con disabilità.

Allo stesso modo, dovrà essere riconosciuta priorità ai dipendenti con disabilità o caregivers.

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Virginia Sacco
Dottoressa in Giurisprudenza
Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli - Federico II, ho seguito le mie passioni specializzandomi prima in Intelligence istituzionale e, successivamente, in Diritto dell'Unione Europea. Nel corso degli anni ho preso parte a eventi, attività e progetti a livello europeo e internazionale, approfondendo i temi della cooperazione giudiziaria e del diritto penale internazionale. Su Lexplain scrivo di diritto con parole semplici e accessibili.
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