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20 Marzo 2024
13:00

Cassazione su licenziamento smart worker: lavorare da remoto non vuol dire non essere diligenti

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza del 30 gennaio 2024, n. 2761 ha confermato l’illegittimità del licenziamento a carico di una dipendente che lavorava in smart working per presunto, mancato rispetto dell’orario lavorativo. Per i giudici, la lavoratrice poteva lavorare tranquillamente da remoto, senza con questo far venire meno la diligenza dovuta.

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Cassazione su licenziamento smart worker: lavorare da remoto non vuol dire non essere diligenti
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La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza del 30 gennaio 2024, n. 2761 ha confermato l’illegittimità del licenziamento a carico di una dipendente che lavorava in smart working per presunto, mancato rispetto dell’orario lavorativo.

Per i giudici, sulla base delle prove assunte, risulta che la lavoratrice potesse lavorare tranquillamente da remoto, senza con questo far venire meno la diligenza dovuta.

L’elenco di mansioni alla stessa attribuite, infatti, consente di evincere che alcune di esse prescindono completamente dalla presenza fisica in un determinato luogo.

Vediamo in dettaglio cosa ha stabilito la Corte di cassazione con questa importante sentenza in tema di smart working.

I fatti di causa

La Corte d'appello di Bologna rigettava il reclamo proposto da una società contro la sentenza del Tribunale di Forlì, che a sua volta aveva respinto la sua opposizione all'ordinanza dello stesso Tribunale che aveva respinto il ricorso della società datrice di lavoro, volto a sentir dichiarare la legittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa dalla stessa intimato a una sua dipendente con mansioni di "supervisione e controlli dei cantieri nei quali la società (…) espletava servizi di pulizia e altri …".

La Corte territoriale premetteva che, per il giudice dell'opposizione, tre erano le ragioni di addebito alla lavoratrice quali desumibili dalla contestazione e cioè:

  • la sistematica violazione delle disposizioni aziendali in ordine all'orario di lavoro”; 
  • “lo svolgimento in modo incompleto e discontinuo della prestazione, con tanto di disbrigo di faccende personali durante l'orario di lavoro”; 
  • “l'abuso della fiducia del datore”, in quanto la dipendente avrebbe approfittato “della circostanza che non vi fosse un sistema di rilevazione automatica delle presenze e ciò a considerare che le mansioni assegnate prevedevano anche l'allontanamento dall'ufficio per effettuare i sopralluoghi sui cantieri”.

Avverso tale decisione, veniva proposto ricorso per Cassazione.

Con il primo motivo la società ricorrente denunciava la "Violazione e falsa applicazione dell'art. 11(1) Cost., art. 132 cpc e art. 118 disp. att. cpc in ordine alla mancata motivazione della omessa considerazione di controprova scritta relativa alla sussistenza di normativa aziendale sugli orari giornalieri".

Con un secondo motivo veniva denunciato "Ancora vizio di mancanza di motivazione circa l'effettuazione prevalentemente "da remoto" della prestazione lavorativa".

Con un terzo motivo veniva denunciata ancora violazione del "minimo costituzionale di motivazione", in relazione alle contestazioni di impossibilità dell'esecuzione della prestazione di coordinatore "da remoto".

L’ordinanza della Corte di cassazione

Tutti motivi di ricorso, per la Cassazione, sono infondati.

Infatti, affinché sia integrato il vizio di "mancanza della motivazione" agli effetti di cui all'art. 132 c.p.c. n. 4, “occorre che la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell'oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l'enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero che essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscere come giustificazione del decisum”.

La mancanza di motivazione, come è stato chiarito più volte in giurisprudenza, come causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura "nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili, e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sé, restando esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima in raffronto con le risultanze probatorie".

Secondo la Corte, i vizi di mancanza di motivazione o di motivazione apparente, lamentati dalla ricorrente, “non sono assolutamente riscontrabili nell'impugnata sentenza”.

La Corte territoriale aveva infatti ben evidenziato che: "il giudice reclamato ha ritenuto, sulla base delle prove assunte, che la lavoratrice bene potesse lavorare da remoto, senza con questo far venire meno la diligenza dovuta".

La Corte territoriale aveva inoltre osservato che: "Lo stesso elenco di mansioni consente di evincere che alcune di esse prescindono completamente dalla presenza fisica in un determinato luogo; basti pensare a quelle così sintetizzate nell'elenco offerto dalla stessa società reclamante: … ".

Un testimone qualificato aveva, tra l'altro, dichiarato che: "A volte la ricorrente lavorava da casa perché aveva la scheda sim aziendale per lavorare dove e quando ritenuto opportuno. La scheda l'avevano solo i coordinatori e l'avevo pure io. C'era una rete aziendale. Talvolta la resistente si faceva dare i fogli presenza fuori dall'orario di lavoro per poter fare il lavoro a casa se non poteva uscire ad esempio per malattia".

La società ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, è stata condannata dalla Cassazione al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di giudizio e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

Avvocato, laureata con lode in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Ho poi conseguito la specializzazione presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali, e sono stata collaboratrice della cattedra di diritto pubblico comparato. Sono autrice e coautrice di numerosi manuali, alcuni tra i più noti del diritto civile e amministrativo. Sono inoltre autrice di numerosi articoli giuridici, e ho esperienza pluriennale come membro di comitato di redazione. Per Lexplain sono editor per l'area "diritto" e per l'area "fisco". Sono mamma di due splendidi figli, Riccardo, che ha 17 anni e Angela, che ha 9 anni.
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