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29 Agosto 2023
13:00

Buon costume (rif. art. 5 c.c.)

Il concetto di buon costume è di difficile definizione, poiché ha un contenuto valoriale che, per definizione, muta al variare delle convinzioni di tipo etico e morale. Vediamo quali sono le varie accezioni del termine "buon costume".

Buon costume (rif. art. 5 c.c.)
Avvocato
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Il concetto di buon costume è di difficile definizione, in quanto è connotato da un contenuto valoriale che, per definizione, muta al variare delle convinzioni di tipo etico e morale.

Nel nostro ordinamento sono numerosi i riferimenti al buon costume.

Nella Costituzione, all’art. 21, comma 6, è stabilito che “Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.

All’art. 19 della Costituzione è invece stabilito che “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purchè non si tratti di riti contrari al buon costume”.

Nel Codice penale il libro secondo, titolo IX, comprende i delitti contro la moralità e il buon costume.

Gli articoli contenuti nel Capo I, intitolato “Dei delitti contro la libertà sessuale” sono stati abrogati dalla legge 15 febbraio 1996, n.66.

Tali disposizioni sono state abrogate proprio in seguito al mutamento del sentire sociale. Contenevano, in effetti, riferimenti che non sono più attuali, come l’art. 526 c.p. che così recitava: “Chiunque, con promessa di matrimonio, seduce una donna minore di età, inducendola in errore sul proprio stato di persona coniugata, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni. Vi è seduzione quando vi è stata congiunzione carnale”.

Nel capo II sono invece contenuti una serie di articoli che rimandano al concetto di oscenità.

Vi è data una definizione specifica all’art. 529 del Codice penale “Agli effetti della legge penale, si considerano osceni gli  atti  e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore. Non si considera oscena l'opera d'arte o l'opera di scienza,  salvo che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in  vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto”.

Nel Codice penale viene dunque stabilito che è osceno ciò che offende il pudore.

All’art. 5 del Codice Civile vengono invece vietati gli atti di disposizione del  proprio  corpo  quando cagionino una  diminuzione  permanente  della  integrità  fisica,  o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al “buon costume”.

Vi sono poi una serie di norme nel Codice civile, in riferimento alla materia contrattualistica, che si riferiscono espressamente al concetto di buon costume.

All'art. 1343 del Codice Civile è infatti stabilito che la causa del contratto è illecita  quando  è contraria a  norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume.

All’art. 1354 del Codice Civile è stabilito che il contratto è nullo quando viene  apposta  una   condizione, sospensiva o risolutiva, contraria  a  norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume.

La norma di cui all’art. 2035 del Codice Civile dispone che “Chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche  da  parte sua, costituisca offesa al buon costume non può ripetere  quanto  ha pagato”.

Come si può ben vedere, nel nostro ordinamento il concetto di buon costume è presente in una serie di svariate di norme e assume una connotazione tipica a seconda del contesto di riferimento.

Origini storiche del concetto di buon costume

I mores costituivano la principale fonte del diritto romano.

Nel diritto romano è possibile ritrovare molti riferimenti ai boni mores.

Nella casistica giurisprudenziale si ritrovano infatti ipotesi in cui una stipulazione contrattuale viene considerata nulla perché contraria ai boni mores.

Il contenuto del contratto posto in essere, cioè, appariva non rispettoso, poiché contrario a concetti come quello di "dignità" e "onore".

In epoca medievale il concetto non si presta a essere ricondotto a unità e si ritrova utilizzato in numerose accezioni nella casistica giurisprudenziale.

Ciò che è importante rilevare, è il fatto che con l'evoluzione del pensiero giuridico, al variare dello stesso concetto di buon costume, viene prevista la medesima sanzione in ambito civilistico, nel campo della contrattualistica.

Anche negli anni successivi all'epoca romana e a quella medioevale, in effetti, la sanzione comminata in ipotesi di contratto contrario al buon costume è comunque quella dell'inefficacia della stipulazione contrattuale.

Una previsione che, come abbiamo visto, è possibile rintracciare ancora nel nostro Codice civile.

Il Buon Costume nel diritto moderno

Oggi è difficile ricostruire in maniera unitaria il concetto di buon costume, poiché, come anticipato, tale concetto ha un contenuto valoriale difficilmente determinabile, che muta con il mutare del contesto sociale entro cui lo stesso viene considerato.

Come visto, in ambito penale si fa riferimento al concetto di oscenità inteso come insieme di atti “che offendono il pudore”; in ambito penale, in sostanza, il riferimento è legato alla sfera sessuale.

In ambito civilistico il riferimento è molto presente nella materia contrattuale.

Sono considerati, invero, contrari al buon costume, i negozi con cui si dispone, ad esempio, della propria integrità fisica al fine di limitarla ovvero i negozi con cui si dispone della propria sfera sessuale.

Molto interessante la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sez. III, del 26 ottobre 2022, n. 3814, con la quale è stata stabilito che sono nulle, tra l'altro, le delibere assembleari con oggetto impossibile o illecito perché contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume, ovvero quelle che incidono sui diritti individuali di ognuno dei condomini.

Il concetto di buon costume nelle varie giurisdizioni

Nel diritto francese si rileva una commistione pressoché totale tra il concetto di buon costume e ordine pubblico, poiché il termine "ordine pubblico" è in sostanza onnicomprensivo.

Nel diritto tedesco il processo è stato opposto, in quanto il concetto di "buon costume", in omaggio alla tradizione di stampo romanista, ha trovato ampia applicazione.

La Corte di Giustizia dell'Unione europea, Sezione V, con sentenza del 27 febbraio 2020, n. 240/18 ha stabilito che il concetto di buon costume si riferisce ai valori e alle norme fondamentali cui una società aderisce e che tali valori e norme possono evolvere nel tempo.

Questi valori devono dunque essere determinati in funzione del "consenso sociale prevalente in quella società al momento della valutazione", tenendo conto delle diversità culturali, religiose o filosofiche che lo caratterizzano, onde valutare oggettivamente ciò che la società considera, in quel momento, "moralmente accettabile".

Approccio condivisibile quello della Corte di Giustizia che tende a relativizzare estremamente il concetto e ad adeguarlo al "profondo sentire" di un determinato consesso sociale.

Nello stesso senso la Corte d'Appello di Taranto, con sentenza del 21 luglio 2020, n. 215, ha stabilito che, ai fini dell'applicabilità della soluti retentio prevista dall'art. 2035 c.c., la nozione di buon costume non deve essere identificata soltanto con le prestazioni contrarie alle regole della morale sessuale o della decenza, in quanto il riferimento va anche alle prestazioni che contrastano con i principi di tipo etico che connotano la morale sociale in un determinato momento storico e in relazione a un contesto specifico.

Il principio è stato applicato all'ipotesi in cui una somma di denaro è stata versata per ottenere in cambio un posto di lavoro, a prescindere dall'esito della trattativa immorale.

Per una disamina del concetto di "ordine pubblico" si rinvia al seguente articolo: https://www.lexplain.it/ordine-pubblico/

Avvocato, laureata con lode in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Ho poi conseguito la specializzazione presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali, e sono stata collaboratrice della cattedra di diritto pubblico comparato. Sono autrice e coautrice di numerosi manuali, alcuni tra i più noti del diritto civile e amministrativo. Sono inoltre autrice di numerosi articoli giuridici, e ho esperienza pluriennale come membro di comitato di redazione. Per Lexplain sono editor per l'area "diritto" e per l'area "fisco". Sono mamma di due splendidi figli, Riccardo, che ha 17 anni e Angela, che ha 9 anni.
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