L’articolo 1102 del Codice Civile, contenuto nel Capo I, Titolo VII, Libro III, dispone che:
“Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.”
Il Capo I prende le mosse da una premessa fondamentale per la comunione nel suo complesso e la definisce per due elementi: da una parte la presenza di almeno due titolari di uguali diritti insistenti sul bene; dall’altro l’unicità del bene stesso.
L’articolo 1102 impone il principio secondo il quale ciascun titolare può usare il bene nella sua interezza e in comunione con l’altro. L’utilizzo incorre in duplice limite: il rispetto imprescindibile della destinazione d’uso, che potrà essere concordata o già definita, e la garanzia di utilizzo a pari condizioni di tutti gli altri comunisti.
Il diritto di uso della cosa comune incontra due limiti fondamentali: da un lato il divieto di alterare la destinazione della cosa; dall'altro il divieto di ostacolare il pari uso degli altri partecipanti.
Con l'accezione di pari uso, in tema di uso della cosa comune, non si fa riferimento all'identico utilizzo del medesimo bene o del medesimo spazio, quanto piuttosto il diritto potenziale di poter utilizzare la cosa al pari dell'utilizzo altrui.