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5 Ottobre 2023
17:00

Salario minimo: cos’è, pro e contro

L'espressione salario minimo si riferisce alla retribuzione minima che deve essere corrisposta al lavoratore. L'eventuale previsione di un salario minimo legale è oggetto di una recente proposta di legge. Vediamo di cosa si tratta e vediamo, inoltre, cosa dice la Cassazione sul tema con la sentenza del 2 ottobre 2023.

Salario minimo: cos’è, pro e contro
Avvocato
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La tematica del salario minimo riveste importanza centrale, soprattutto a seguito dell’approvazione della direttiva 2022/2041 UE del 19 ottobre del 2022, con cui sono stati delineati principi, quali la necessità di garantire al lavoratore un trattamento retributivo adeguato, che devono orientare l’interprete. La recente sentenza della Corte di Cassazione del 2 ottobre 2023, n. 27711 e la proposta di legge del 4 luglio 2023, n. 1275 presentata da alcuni deputati rivelano, in definitiva, una rinnovata presa di coscienza da parte delle istituzioni sul tema.

L’eventuale introduzione del salario minimo, invero, non sarebbe rilevante solo in quanto si tratterebbe di una disposizione volta a garantire una retribuzione minima al lavoratore necessaria a soddisfare i suoi bisogni e a garantirgli una vita dignitosa.

Il valore di una riforma sul salario minimo sarebbe molto più alto, poiché rappresenterebbe la stella polare in grado di indicare il cammino verso l’attuazione di una tutela del lavoro piena e aderente alla realtà dei tempi, volta cioè a un miglioramento della situazione lavorativa di ciascuno considerata nel suo complesso, quanto alla possibilità di conciliare vita privata e lavoro, quanto alla possibilità di ottenere una retribuzione non solo dignitosa ma anche soddisfacente, quanto alla possibilità di gestire al meglio la propria carriera e trarne motivo di ulteriore benessere personale.

Cos’è il salario minimo

La definizione di salario minimo può essere ricavata dalla direttiva 2022/2041 dell’Unione europea del 19 ottobre 2022:

  • salario minimo”: “la retribuzione minima stabilita per legge o da contratti collettivi che un datore di lavoro, anche nel settore pubblico, è tenuto a pagare ai lavoratori per il lavoro svolto durante un dato periodo”;
  • "salario minimo legale": “un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti, ad esclusione dei salari minimi determinati da contratti collettivi che sono stati dichiarati universalmente applicabili senza alcun margine discrezionale quanto al contenuto delle disposizioni applicabili da parte dell’autorità dichiarante”.

La definizione di salario minimo, dunque, deve essere tenuta distinta dal concetto di reddito minimo che, secondo quanto indicato nella Raccomandazione del Consiglio del 30 gennaio 2023 è costituito da: “reti di sicurezza di ultima istanza per persone che non dispongono di risorse sufficienti, a carattere non contributivo e soggette ad accertamento delle fonti di reddito, che operano nell’ambito dei sistemi di protezione sociale”.

Come si può dedurre, dunque, la ratio dei due istituti è differente, in quanto il salario minimo è destinato alle persone che svolgono un’attività lavorativa e con l’adozione dello stesso si mira ad assicurare una retribuzione minima stabilita per legge.

La finalità del salario minimo, dunque, è quella di garantire a ciascuno la proporzionalità della retribuzione percepita rispetto al lavoro svolto ed è anche quella di assicurare a ognuno una vita dignitosa.

Il reddito minimo è invece fondato su una valutazione dello stato di bisogno di soggetti che non svolgono attività lavorativa per qualche ragione e hanno bisogno di sostegno economico da parte dello Stato.

Il salario minimo in Italia: la Costituzione

Nel nostro ordinamento non vi è un’espressa previsione in tema di salario minimo, nel senso che la determinazione del salario minimo relativo alle varie categorie di lavoratori è demandata alla contrattazione collettiva. Non vi è, dunque, un minimo salariale stabilito per tutti per legge.

Nella Costituzione, numerose disposizioni sono dedicate alla tutela del lavoro. Nell’art. 1, invero, il principio lavorista è codificato insieme al principio democratico, a dimostrazione del fatto che il Costituente ha scelto di conferire centralità al lavoro che, nella sua dimensione di diritto e dovere concorre al progresso materiale e spirituale della società, come stabilito all’art. 4 della Costituzione. Il lavoro deve assicurare una retribuzione dignitosa al lavoratore, in grado di soddisfare i suoi bisogni. Questo principio è espressamente codificato all’art. 36 della Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Secondo quanto disposto dal Costituente, la retribuzione deve dunque essere:

  • proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto;
  • in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Nella valutazione della retribuzione del lavoratore, dunque, andranno verificati entrambi i parametri, quello relativo alla proporzionalità rispetto alla quantità e qualità di lavoro svolta, e quello relativo alla idoneità della retribuzione ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia.

La previsione di un salario minimo: vantaggi e svantaggi

Nel nostro Paese il dibattito sull’introduzione del salario minimo è aperto.

La previsione di un salario minimo legale recherebbe una serie di indubbi vantaggi:

  • contrasto alla povertà dei lavoratori: una serie di lavoratori che percepiscono una retribuzione minima decisamente bassa rispetto alle loro reali necessità vedrebbe migliorare sensibilmente la propria posizione;
  • deflazione del contenzioso nella materia del lavoro: come ricordato nella proposta di legge n. 1275 presentata il 4 luglio del 2023, che verrà analizzata dettagliatamente nei paragrafi successivi, molti giudici hanno sovente annullato le disposizioni di alcuni contratti collettivi in quanto contrastanti con l’art. 36 della Costituzione. L’introduzione di una norma sul salario minimo, dunque, ridurrebbe i casi in cui risulta necessario rivolgersi ai giudici per l’adeguamento della propria retribuzione ai principi costituzionali.

Gli svantaggi, tuttavia, potrebbero rivelarsi i seguenti:

  • aumento del costo del lavoro per alcune aziende che potrebbero non essere in grado di fronteggiarlo;
  • depotenziamento dello strumento della contrattazione collettiva.

Quanto al primo motivo che sovente viene fatto presente, va tuttavia rilevato che le esigenze della produzione non possono contrastare con istanze di tutela primarie quali la tutela di lavoratori i quali, non avendo una retribuzione adeguata, non sono in grado di condurre un’esistenza dignitosa.

Quanto al secondo degli svantaggi indicati, va invece ricordato che la contrattazione collettiva, in ipotesi di fissazione di un salario minimo legale, non risulterebbe necessariamente depotenziata. Al contrario, la tutela apportata ex lege potrebbe costituire uno sprone ulteriore per i sindacati, che sarebbero tenuti ad adeguare la tutela dei lavoratori a standard ancora più elevati.

Il salario minimo in Europa

In Europa il salario minimo legale è stabilito nella maggioranza dei Paesi tranne che in Danimarca, Finlandia, Svezia, Austria e Italia. Come ricordato nella proposta di legge n. 1275 presentata il 4 luglio del 2023, l’ultimo Paese che ha introdotto il salario minimo legale è stata la Germania nel 2015. La retribuzione oraria minima è stata prevista in 12 euro l’ora nell’ottobre del 2022.

La direttiva europea del 19 ottobre 2022

Le istituzioni dell’Unione europea hanno assunto una posizione decisiva sul tema con l’adozione della direttiva 2022/2041 del 19 ottobre 2022 relativa ai salari minimi adeguati.

Nella direttiva viene ricordato tra l’altro, che “Il capo II del pilastro europeo dei diritti sociali («pilastro»), proclamato a Göteborg il 17 novembre 2017, stabilisce una serie di principi che fungono da guida per garantire condizioni di lavoro eque. Il principio 6 del pilastro ribadisce il diritto dei lavoratori a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso. Secondo tale principio devono inoltre essere garantiti salari minimi adeguati che soddisfino i bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie in funzione delle condizioni economiche e sociali nazionali, salvaguardando nel contempo l’accesso al lavoro e gli incentivi alla ricerca di lavoro. Il principio ricorda infine che la povertà lavorativa deve essere prevenuta e che tutti i salari devono essere fissati in maniera trasparente e prevedibile, conformemente alle prassi nazionali e nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali”.

Con l’adozione della direttiva, le istituzioni dell’UE hanno inoltre ricordato che non tutti i lavoratori dell’Unione ricevono una tutela efficace quanto al salario minimo, e le conseguenze di questa lacuna ricadono soprattutto sulle donne, sui lavoratori giovani, sui lavoratori scarsamente qualificati, sui lavoratori migranti, sui genitori soli o sui lavoratori part time o a tempo.

Nel capo II, all’art. 5, viene così disposto: “Gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali istituiscono le necessarie procedure per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali. Tale determinazione e aggiornamento sono basati su criteri stabiliti per contribuire alla loro adeguatezza, al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso, ridurre la povertà lavorativa, promuovere la coesione sociale e una convergenza sociale verso l’alto e ridurre il divario retributivo di genere”.

Nella direttiva, dunque, non è contenuto l’obbligo per gli Stati membri di prevedere un salario minimo legale, ma l’invito ad attuare misure che contribuscano a rendere effettiva la riduzione del divario sociale è pressante.

I Paesi che non hanno il salario minimo

I Paesi che non hanno il salario minimo sono la Danimarca, la Svezia, la Finlandia, l’Austria e l’Italia. Il nostro è dunque uno dei pochi Paesi rimasti a non avere una disciplina in tema di salario minimo.

La proposta di legge del 4 luglio 2023 sul salario minimo

Negli anni si sono susseguite diverse proposte di legge sul salario minimo ma l’ultima in ordine di tempo è la proposta n. 1275 presentata il 4 luglio 2023 su iniziativa di alcuni deputati. Nella proposta di legge viene ricordata, tra l’altro, la relazione “Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa” curata dal gruppo di lavoro istituito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali n. 126 del 2021.

Si legge nella proposta che: “Da tale relazione si evince inoltre che, coerentemente con il ben noto fenomeno del gender pay gap, la quota di lavoratori poveri definiti con riferimento al reddito di lavoro annuo netto risulta, nel 2017, pari al 16,5 per cento tra gli uomini e al 27,8 per cento tra le donne, collocandosi in totale al 22,2 per cento, in forte crescita dal 17,7 per cento del 2006. Si evidenzia inoltre che il rischio di bassa retribuzione risulta elevatissimo, pari al 53,5 per cento, tra chi nel corso di un anno lavora prevalentemente a tempo parziale”.

Viene inoltre sottolineato che “Per quanto attiene ai lavoratori subordinati, ciò è quanto emerge dall’ultimo rapporto annuale dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) che, ipotizzando la regolazione per legge di diversi importi di salario minimo, individua: 2.596.201 lavoratori «sotto soglia», se si considera un salario minimo tabellare con importo minimo pari a 8 euro all’ora, e 2.840.893 lavoratori «sotto soglia», se si includono nella nozione di salario minimo anche le mensilità aggiuntive e il salario minimo viene fissato a 9 euro”.

L’introduzione del salario minimo non è certo volta a depotenziare la contrattazione collettiva, in quanto “l’attuale assetto della contrattazione collettiva necessita di essere sostenuto e promosso dall’ordinamento statuale al fine di garantire a tutti i lavoratori in Italia l’applicazione di trattamenti retributivi dignitosi”.

All’art. 2 della proposta viene dunque stabilito che il trattamento economico minimo orario stabilito dal CCNL non può essere comunque inferiore a 9 euro lordi.

La sentenza della Corte di Cassazione del 2 ottobre 2023, n. 27711 sul salario minimo

La Corte di cassazione, sez. lavoro, con sentenza del 2 ottobre del 2023, n. 27711 si è espressa in ordine alla conformità ai parametri dell'articolo 36 Cost., del trattamento retributivo applicato a una categoria di dipendenti, tracciando coordinate ermeneutiche di grande rilievo sul tema.

La Corte d'appello aveva rigettato la domanda del lavoratore, in quanto il datore aveva pacificamente applicato ai propri dipendenti il CCNL di categoria.

La Corte d’appello aveva inoltre aggiunto che andassero esclusi dalla valutazione di conformità ex articolo 36 Cost., i rapporti di lavoro regolati dai contratti collettivi propri del settore di operatività siglati da organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale.

Secondo la Corte di Cassazione,  le affermazioni della Corte di appello non risultano conformi ai principi di cui all'articolo 36 Cost.

In primo luogo, la Corte di cassazione ricorda che, secondo quanto affermato dalla stessa Cassazione, con la sentenza n. 24449/2016,  l'articolo 36 Cost., comma 1, è posto a presidio di due diritti distinti, che “nella concreta determinazione della retribuzione, si integrano a vicenda”.

Il primo è quello a una retribuzione  proporzionata che garantisce al prestatore di lavoro “una ragionevole commisurazione della propria ricompensa alla quantità e alla qualità dell'attività prestata".

Il diritto a una retribuzione "sufficiente" riguarda invece "una retribuzione non inferiore agli standards minimi necessari per vivere una vita a misura d'uomo", ovvero ad "una ricompensa complessiva che non ricada sotto il livello minimo, ritenuto, in un determinato momento storico e nelle concrete condizioni di vita esistenti, necessario ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa". In altre parole, l'uno stabilisce "un criterio positivo di carattere generale", l'altro "un limite negativo, invalicabile in assoluto".

Secondo quanto stabilito dalla Cassazione, dunque, “Il giudice, pertanto, non può sottrarsi a nessuna delle due valutazioni che, seppur integrate, costituiscono le direttrici sulla cui base deve determinare la misura della retribuzione minima secondo la Costituzione”.

In un fondamentale passaggio, la Cassazione ha inoltre richiamato la direttiva del 2022, nella quale è tracciato Il primo obiettivo ovvero quello della "convergenza sociale verso l'alto dei salari minimi”. Dunque, secondo la Cassazione, la direttiva vuole “un miglioramento dei minimi più bassi, perché si avvicinino ai più alti”.

La Cassazione ha in fin dei conti stabilito che: “Pur con tutta la prudenza con cui bisogna approcciare la materia retributiva ed il rispetto della riserva di competenza attribuita normalmente alla autorità salariale massima, rappresentata dalla contrattazione collettiva, non può che ribadirsi perciò come i criteri di sufficienza e proporzionalità stabiliti nella Costituzione siano gerarchicamente sovraordinati alla legge e alla stessa contrattazione collettiva ed abbiano contenuti (anche attinenti alla dignità della persona) che preesistono e si impongono dall'esterno nella determinazione del salario”.

Come si può ben vedere, la sentenza della Corte di cassazione costituisce un ulteriore, fondamentale passo in avanti verso il riconoscimento di una tutela idonea a realizzare una “convergenza sociale verso l’alto dei salari minimi”, in omaggio alle coordinate tracciate dalle istituzioni europee.

La delega al Governo in materia di protezione dei lavoratori che sostituisce l'art. 1 della proposta di legge n. 1275 del 4 luglio 2023

L’iter relativo alla proposta di legge sul salario minimo, promossa, tra l’altro, dai deputati Schlein e Conte, ha subito un arresto.

Nella seduta del 18 ottobre 2023, infatti, è stato stabilito il rinvio dell’esame del provvedimento presso la Commissione di merito, durante il quale è stato approvato l’emendamento 1.6 che ha sostituito integralmente l’originario articolo 1, con un nuovo testo, recante delega al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva e ha inserito un nuovo articolo, l’articolo 1-bis (poi rinumerato come articolo 2), recante delega al Governo in materia di controlli e informazione sulla retribuzione dei lavoratori e sulla contrattazione collettiva.

I restanti articoli dell’originaria proposta di legge sono stati soppressi (articoli da 2 a 8).

Il testo originario, di conseguenza, ne è risultato completamente stravolto.

Di seguito, gli elementi principali contenuti nella delega al Governo.

Finalità della delega

Come si evince dal testo depositato presso la Camera dei deputati, le finalità della delega sono le seguenti:

a) assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi;

b) contrastare il lavoro sottopagato;

c) stimolare il rinnovo dei contratti collettivi;

d) contrastare i fenomeni di concorrenza sleale attuati mediante la proliferazione di sistemi contrattuali finalizzati alla riduzione del costo del lavoro e delle tutele dei lavoratori (cosiddetto «dumping contrattuale»)”.

Le principali novità riguardano, dunque, la mancata previsione di un salario minimo legale e l’introduzione di misure che mirino a contrastare il lavoro sottopagato e a favorire il rinnovo dei contratti collettivi.

Principi e criteri direttivi della delega

Come si evince dal testo ufficiale, nell’esercizio della delega il Governo è tenuto ad attenersi a una serie di principi e criteri direttivi:

1-“definire, per ciascuna categoria, i contratti collettivi più applicati, al fine di prevedere che il trattamento economico complessivo minimo del contratto maggiormente applicato costituisca la condizione economica minima da riconoscersi ai lavoratori appartenenti alla medesima categoria”;

invece di stabilire un salario minimo legale, in sostanza, vanno verificati i contratti maggiormente applicati affinché le condizioni economiche minime degli stessi possano essere applicati ai lavoratori della stessa categoria;

2-“stabilire per le società appaltatrici e subappaltatrici, negli appalti di servizi di qualunque tipo e settore, l'obbligo di riconoscere ai lavoratori coinvolti nell'esecuzione dell’appalto trattamenti economici complessivi minimi non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati nel settore al quale si riferisce l’oggetto dell'appalto. Coerentemente, rafforzare le misure di verifica e controllo poste in capo alle stazioni appaltanti”;

in sostanza, deve essere posto un obbligo in capo alle società appaltatrici e subappaltatrici di prevedere trattamenti economici minimi per i lavoratori non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali.

3-“estendere i trattamenti economici complessivi minimi dei contratti collettivi ai gruppi di lavoratori non raggiunti da alcuna contrattazione collettiva, applicando il contratto della categoria più affine”;

questa disposizione va invece a essere applicata a coloro ai quali non viene applicata alcuna contrattazione collettiva: a questi ultimi deve essere applicato il contratto della categoria più affine.

4-“prevedere strumenti di incentivazione atti a favorire lo sviluppo progressivo della contrattazione di secondo livello”;

la contrattazione delle aziende di secondo livello va incentivata.

5-“prevedere strumenti di misurazione che si basino sulla indicazione obbligatoria del codice del contratto collettivo al singolo rapporto di lavoro nelle trasmissioni all’Istituto nazionale della previdenza sociale effettuate con il flusso telematico UNIEMENS, nelle comunicazioni obbligatorie e nelle buste paga, ciò anche al fine del riconoscimento di agevolazioni economiche e contributive connesse ai rapporti di lavoro”;

6-“introdurre strumenti di incentivazione a sostegno del rinnovo dei contratti collettivi, che comportino altresì il riconoscimento di incentivi a favore anche dei lavoratori e delle lavoratrici volti a bilanciare e, ove possibile, compensare la riduzione del potere di acquisto”;

7-“per ciascun contratto scaduto e non rinnovato entro i termini previsti dalle parti sociali o comunque entro congrui termini, nonché per i settori non coperti da contrattazione collettiva, prevedere l'intervento diretto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali con il fine di adottare le misure necessarie a valere sui soli trattamenti economici minimi complessivi considerando, se del caso, i trattamenti economici minimi complessivi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati nei settori affini”;

8-“quali misure di rafforzamento della concorrenza e lotta alla evasione fiscale e contributiva, procedere a una riforma della vigilanza del sistema cooperativo, con particolare riguardo alle revisioni periodiche per la verifica dell'effettiva natura mutualistica”;

9-“disciplinare modelli di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili di impresa (comma 2)”.

Controlli e informazione sulla retribuzione dei lavoratori e sulla contrattazione collettiva

All’art. 2 della delega viene inoltre previsto:

  • razionalizzare le modalità di comunicazioni tra imprese ed enti pubblici in materia di retribuzioni e applicazione della contrattazione collettiva, prevedendo strumenti che rendono effettiva, certa ed efficace l'acquisizione del dato di applicazione della contrattazione collettiva a livello nazionale, territoriale e per categorie, nonché dei dati afferenti ai trattamenti retributivi effettivamente riconosciuti ai lavoratori ed alle lavoratrici;
  • perfezionare, prevedendo anche il ricorso a strumenti tecnologici evoluti e l'implementazione di banche dati condivise, le disposizioni in materia di ispezioni e controlli;
  • introdurre forme di rendicontazione pubblica e di monitoraggio su base semestrale aventi ad oggetto l'andamento delle misure di contrasto a fenomeni distorsivi del mercato del lavoro in materia di retribuzioni, contrattazione collettiva, contrasto al caporalato, lavoro nero o irregolare, nonché di abuso della forma cooperativa;
  • prevedere che le suddette forme di rendicontazione si avvalgano delle risultanze ispettive dell'Ispettorato nazionale del lavoro (INL), dei suoi organi territoriali e di tutte le risultanze acquisite da parte dei soggetti deputati alla verifica della regolarità e correttezza delle retribuzioni e della contrattazione collettiva a livello nazionale e territoriale (comma 2)”.

In sostanza, con questa delega si mira ad agire nel senso della valutazione concreta del dato di applicazione della contrattazione collettiva e dei trattamenti retributivi effettivamente riconosciuti ai lavoratori.

Laureata con lode in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Ho poi conseguito la specializzazione presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali, sono stata collaboratrice della cattedra di diritto pubblico comparato e ho svolto la professione di avvocato. Sono autrice e coautrice di numerosi manuali, alcuni tra i più noti del diritto civile e amministrativo. Sono inoltre autrice di numerosi articoli giuridici e ho esperienza pluriennale come membro di comitato di redazione. Per Lexplain sono editor per l'area "diritto" e per l'area "fisco". 
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