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14 Febbraio 2024
9:00

Responsabilità contrattuale: cos’è e quando sorge?

La responsabilità contrattuale deriva dal mancato o inesatto adempimento di un contratto. Si fa riferimento alla responsabilità di tipo contrattuale anche nelle ipotesi di “contatto sociale qualificato” ovvero quando tra due soggetti, anche in mancanza di un contratto vero e proprio, si sia instaurato un rapporto in forza del quale una parte ha obblighi di protezione nei confronti dell’altra.

Responsabilità contrattuale: cos’è e quando sorge?
Avvocato
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La responsabilità contrattuale deriva dal mancato o inesatto adempimento di un contratto.

Si fa riferimento alla responsabilità di tipo contrattuale anche nelle ipotesi di “contatto sociale qualificato” ovvero quando tra due soggetti, anche in mancanza di un contratto vero e proprio, si sia instaurato un rapporto in forza del quale una parte ha obblighi di protezione nei confronti dell’altra.

La responsabilità contrattuale dà origine al dovere di risarcire il danno.

Il risarcimento del danno va parametrato al danno subito dal creditore e al mancato guadagno, nelle due voci del danno emergente e del lucro cessante.

Cos’è la responsabilità contrattuale

La responsabilità contrattuale deriva da un inadempimento delle obbligazioni che sorgono da un contratto.

Se, ad esempio, Tizio conclude un contratto di compravendita di un’auto con Caio impegnandosi a corrispondere un determinato prezzo ma, al contrario di quanto pattuito, non versa alcuna somma, egli sarà contrattualmente responsabile per le obbligazioni assunte e dovrà risarcire il danno a Caio.

Nella prassi giurisprudenziale sono state individuate ipotesi di responsabilità contrattuale nascenti dal cosiddetto “contatto sociale”.

Sulla base della teoria del “contatto sociale qualificato”, va affermata la responsabilità contrattuale del soggetto inadempiente quando sussiste un rapporto tra due parti in forza del quale una delle stesse ha “obblighi di protezione” nei confronti dell’altra, anche se non è stato stipulato un vero e proprio contratto.

La teoria del “contatto sociale” è un’applicazione del principio di buona fede, che a sua volta ha una matrice solidarista, poiché espressione del canone tracciato dall’art. 2 della Costituzione.

Sulla base della teoria del “contatto sociale è stata riconosciuta la responsabilità della pubblica amministrazione per i danni arrecati al singolo come ipotesi di responsabilità da “contatto sociale”.

Con una recentissima ordinanza del 19 gennaio 2023, n. 1567, ad esempio, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito il seguente principio:

La responsabilità della pubblica amministrazione per il danno derivante dalla lesione dell'affidamento sulla correttezza dell'azione amministrativa – avente quale presupposto il mancato rispetto dei doveri di correttezza e buona fede gravanti sulla P.A. – ha natura contrattuale e va inquadrato nello schema della responsabilità "relazionale" (o "da contatto sociale qualificato", idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell'art. 1173 c.c.), sia nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, sia in caso di emanazione di un provvedimento lesivo, sia nell'ipotesi di emissione e successivo annullamento di un atto ampliativo della sfera giuridica del privato; ne consegue che la controversia relativa all'accertamento della responsabilità dell'amministrazione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario”.

La responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione da contatto sociale qualificato, discendente dagli obblighi di correttezza e buona fede ravvisabili in capo alla stessa, può dunque essere affermata:

  • quando non è stato emanato alcun provvedimento;
  • quando è stato emanato un provvedimento lesivo per il privato;
  • quando è stato annullato un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato.

Con altra interessante pronuncia la Cassazione ha specificato l’ambito di operatività della responsabilità da contatto sociale.

In particolare, la Corte di Cassazione, sez. II Civile, con ordinanza del 29 dicembre 2020, n. 29711 ha stabilito che: “La cosiddetta responsabilità "da contatto sociale", soggetta alle regole della responsabilità contrattuale, pur in assenza d'un vincolo negoziale tra danneggiante e danneggiato, è configurabile non in ogni ipotesi in cui taluno, nell'eseguire un incarico conferitogli da altri, nuoccia a terzi, come conseguenza riflessa dell'attività così espletata, ma soltanto quando il danno sia derivato dalla violazione di una precisa regola di condotta, imposta dalla legge allo specifico fine di tutelare i terzi potenzialmente esposti ai rischi dell'attività svolta dal danneggiante, tanto più ove il fondamento normativo della responsabilità si individui nel riferimento dell'art. 1173 c.c. agli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico”.

In sostanza, per aversi responsabilità da contatto sociale qualificato non è sufficiente che vi sia un danno come conseguenza di un’attività espletata, ma vi deve essere la violazione di una precisa regola di condotta.

Nello stesso senso si è espressa la Corte di Cassazione, con ordinanza del 16 settembre 2022, n. 27267: “La diffusione di riprese filmate eseguite contro la volontà di una paziente ospedaliera è suscettibile di comportare la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, per violazione degli specifici obblighi di protezione dei pazienti rispetto alle potenziali lesioni provenienti da terzi, e quella solidale dell'emittente televisiva, per violazione del generale principio del "neminem laedere", postulando l'art. 2055 c.c., ai fini dell'imputazione a più persone di un fatto dannoso per titoli di responsabilità diversi, soltanto l'unicità del fatto”.

La responsabilità della struttura ospedaliera, dunque, come è stato più volte affermato, deriva dalla violazione di specifici obblighi di protezione nei confronti dei pazienti.

Le responsabilità del debitore

La responsabilità del debitore è compiutamente delineata all’art. 1218 c.c.

Viene stabilito che: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

In definitiva il debitore è responsabile se:

  • non adempie la prestazione;
  • non esegue esattamente la prestazione;
  • esegue la prestazione in ritardo.

Il debitore può liberarsi dalla responsabilità in questione e quindi evitare di risarcire il danno solo se prova che l’inadempimento o il ritardo dell’inadempimento sono stati determinati da causa a lui non imputabile.

Le regole relative all’adempimento della prestazione sono tracciate nello stesso Codice civile.

Viene stabilito, ad esempio, all’art. 1176 c.c. che: “Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia.

Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata”.

Il debitore, dunque, deve adempiere l’obbligazione diligentemente.

In caso contrario, risulterà responsabile.

Per chiarire il concetto esaminato, si riporta quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con ordinanza del 28 maggio 2020, n. 9997.

In particolare, la Cassazione ha stabilito che: “Il fatto del terzo esclude la responsabilità contrattuale del ristoratore per i danni alla persona cagionati ad un cliente se integra gli estremi del caso fortuito e, cioè, quando è stato concretamente accertato che, osservando le regole di diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c., tale evento non poteva essere né previsto, né evitato”.

Nel caso in questione la Cassazione ha chiarito che va esclusa la responsabilità del gestore di un ristorante se l'esagitazione di un cliente – che aveva urtato il cameriere e così determinato il rovesciamento di una pizza bollente sul danneggiato – è stata improvvisa.

Va affermata la responsabilità del gestore, invece, se l’esagitazione del cliente è protratta da tempo e il gestore del ristorante invece di richiamare all'ordine l'avventore e la sua comitiva ha tollerato la loro condotta.

Responsabilità contrattuale: riferimenti normativi

I riferimenti normativi in tema di responsabilità contrattuale sono numerosi.

Con riguardo al Codice civile, ne possono essere citati alcuni:

  • l’art. 1176 c.c.: “Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata”;
  • l’art. 1218 c.c.: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”;
  • l’art. 1223 c.c.: “Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”;
  • l’art. 1224 c.c.: “Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura. Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l'ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori”;
  • l’art. 1225 c.c.: “Se l'inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione”;
  • l’art. 1226 c.c.: “Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”;
  • l’art. 1227 c.c.: “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza”;
  • l’art. 1337 c.c.: “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”;
  • l’art. 1338 c.c.: “La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”;
  • l’art. 1375 c.c.: “Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”.

Dall’analisi delle norme richiamate, può agevolmente evincersi che il debitore ha uno specifico obbligo di diligenza nel momento in cui sorge in capo allo stesso un’obbligazione derivante da contratto.

La diligenza richiesta è quella del “buon padre di famiglia”.

Il debitore che non esegue la prestazione correttamente è tenuto al risarcimento del danno, che va considerato nelle sue due voci, quella del danno emergente e quella del lucro cessante.

La buona fede deve permeare l’intera vicenda contrattuale, dalla fase delle trattative alla fase dell'esecuzione del contratto.

Qualora una parte agisca in violazione del canone di buona fede, la stessa sarà da considerarsi inadempiente e sarà tenuta a risarcire l’altra parte.

Responsabilità contrattuale e precontrattuale

Nel Codice civile è prevista la responsabilità contrattuale, che deriva dall’inadempimento di un contratto e la responsabilità precontrattuale (art. 1337 c.c.) che deriva dalla violazione del canone di buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto.

La parte che, durante lo svolgimento delle trattative, non si è comportata secondo buona fede, è tenuta a risarcire l'altra parte.

Sul punto la Corte di cassazione, con sentenza del 12 marzo 1993, n. 2973 ha specificato che: “La responsabilità precontrattuale prevista dall'art. 1337 cod. civ., coprendo nei limiti del cosiddetto interesse negativo, tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e 2056 cod. civ., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, ancorché avente contenuto diverso, rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse”.

La parte che è venuta meno alle trattative quando le stesse erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva dell’affare è dunque tenuta a risarcire l’altra parte con riferimento all’interesse negativo ovvero al pregiudizio economico derivante dalla rinuncia a stipulare un altro contratto.

Per il ravvisarsi della responsabilità contrattuale, dunque, non è sufficiente la comunicazione di una mera intenzione di voler concludere un contratto, ma va data prova della sussistenza di vere e proprie trattative tra le parti, giunte a un livello avanzato.

Responsabilità contrattuale: onere della prova

In tema di responsabilità contrattuale, l’onere della prova va ripartito secondo la regola tracciata dall’art. 2697 c.c.Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda”.

In particolare, i principi sul punto sono stati tracciati da una nota sentenza della Cassazione resa a Sezioni Unite nel 2001.

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza del 30 ottobre 2001, n. 13533 ha stabilito che: “In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione).

Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento. (Nell'affermare il principio di diritto che precede, le SS.UU. della Corte hanno ulteriormente precisato che esso trova un limite nell'ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell'inadempimento stesso è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l'adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento)”.

Le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite possono dunque essere così semplificate.

Il creditore che vuole ottenere l’adempimento o la risoluzione e il risarcimento del danno deve provare:

  • la fonte (il contratto o la legge)
  • il nesso causale tra inadempimento e danno
  • il danno

Il creditore deve solo allegare l’inadempimento della controparte.

Il debitore deve provare:

  • il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento.

Con riguardo alle obbligazioni negative, invece, l’onere della prova relativo all’inadempimento è a carico del creditore.

La Corte Suprema di Cassazione, III sez. civile, con l’ordinanza n. 25160/18 ha chiarito che, in materia contrattuale, i danni da risarcire devono essere conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento riscontrato, ai sensi dell'articolo 1223 c.c.. 

In particolare, ha chiarito la Corte, che: “Nel considerare il risarcimento del danno, il rapporto tra comportamento ed evento e tra questo e il danno muta a seconda che il danno sia un elemento della fattispecie o un suo effetto, e devono conseguentemente distinguersi il nesso che deve sussistere tra comportamento ed evento, affinché possa configurarsi a monte una responsabilità, in termini di causalità materiale, e il nesso che, collegando l'evento al danno, consente l'imputazione delle singole conseguenze dannose, in termini di causalità giuridica, e ha la funzione di delimitare a valle i confini della responsabilità”.

La Corte ha dunque distinto, nell’ambito della individuazione del nesso causale, il nesso considerato in termini di causalità materiale, che è il nesso tra comportamento ed evento e il nesso di causalità giuridica, che collega l’evento al danno.

Pertanto, ha chiarito la Corte: “la limitazione del rapporto causale tra inadempimento e danno alle sole conseguenze immediate e dirette e' fondata sulla necessità di contenere l'estensione temporale e spaziale degli effetti e degli eventi illeciti ed e' orientata a escludere, dalla connessione giuridicamente rilevante, ogni conseguenza dell'inadempimento che non sia propriamente diretta ed immediata”.

Ha continuato la Cassazione affermando che:

Tale principio e' ancor meglio espresso in Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21619 del 16/10/2007 (Rv. 599816 – 01), ove si chiarisce che nel cosiddetto sottosistema civilistico, il nesso di causalità (materiale) – la cui valutazione in sede civile è diversa da quella penale (ove vale il criterio dell'elevato grado di credibilità razionale che è prossimo alla "certezza") – consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio (ispirato alla regola della normalità causale) del "piu' probabile che non"; esso si distingue dall'indagine diretta all'individuazione delle singole conseguenze dannose (finalizzata a delimitare, a valle, i confini della già accertata responsabilità risarcitoria) e prescinde da ogni valutazione di prevedibilità o previsione da parte dell'autore, la quale va compiuta soltanto in una fase successiva ai fini dell'accertamento dell'elemento soggettivo (colpevolezza)”.

Quanto alla prova del danno: “Giova sottolineare che il danno patrimoniale da mancato guadagno (lucro cessante), concretandosi nell'accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall'inadempimento dell'obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell'utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, con la sola esclusione dei mancati guadagni meramente ipotetici perche' dipendenti da condizioni incerte”.

La prova del lucro cessante, dunque, che grava sul creditore, consiste nella prova dell’utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se la prestazione fosse stata adempiuta.

Ancora, Corte di Cassazione, sez VI, con ordinanza del 5 dicembre 2017, n. 28995 ha stabilito che: “Ai fini dell'affermazione della responsabilità, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, si richiede il nesso di causalità tra l'inadempimento o il fatto illecito e il danno e l'onere della dimostrazione di tale nesso, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, è a carico di colui che agisce per il risarcimento”.

Si tratta, in sostanza, dell’applicazione del principio di vicinanza della prova.

In pratica, deve provare un determinato fatto colui che può provarlo in maniera più agevole in quanto tale fatto ricade nella sua sfera di azione.

E’ infatti evidente che sarà più semplice per il danneggiato provare il danno subito e il collegamento causale tra evento e danno.

La Corte di Cassazione, sezione 3, con ordinanza del 17 luglio 2023, n. 20707, ha infatti stabilito che: “In tema di responsabilità contrattuale del professionista, il nesso causale tra inadempimento (o inesatto adempimento) e danno dev'essere provato dall'attore, in applicazione della regola generale di cui all'art. 2697 c.c., trattandosi di elemento della fattispecie egualmente "distante" da entrambe le parti, rispetto al quale, dunque, non è ipotizzabile la prova liberatoria in capo al convenuto, secondo il principio di cd. vicinanza della prova”.

Il risarcimento del danno

Il risarcimento del danno va parametrato sulla base delle indicazioni fornite dallo stesso Codice civile.

Secondo quanto stabilito dall’art. 1223 c.c., in primo luogo,: “Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.

Le due componenti del danno sono, dunque:

  • il danno emergente: la perdita subita dal creditore;
  • il lucro cessante: il mancato guadagno.

Come stabilito dall’art. 1224 c.c., nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno.

Inoltre, al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l'ulteriore risarcimento, che non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori.

Qualora l'inadempimento o il ritardo non dipenda da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione, secondo quanto stabilito dall’art. 1225 c.c.

Nell’ipotesi in cui il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare, lo liquida il giudice con valutazione equitativa.

Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito in proporzione alla gravità della colpa e all'entità delle conseguenze che ne sono derivate.

Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, secondo quanto stabilito dall’art. 1227 c.c.

Responsabilità contrattuale: prescrizione

Si può far valere il diritto al risarcimento del danno derivante da responsabilità contrattuale entro dieci anni.

Come ha chiarito più volte la Corte, la prescrizione decorre dal momento in cui il danno diviene percepibile.

In questo senso si è espressa, tra le tante, la Corte di Cassazione, sez. lavoro, con ordinanza del 28 ottobre 2022, n. 31919 con cui è stato stabilito che: “In tema di violazione da parte del datore di lavoro degli obblighi imposti dall'art. 2087 c.c., la prescrizionedecennale, ove il lavoratore esperisca l'azione contrattuale – decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, divenendo percepibile e riconoscibile dal danneggiato. (In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva individuato il termine di decorrenza della prescrizione in epoca successiva a quella di cessazione del rapporto di lavoro, in coincidenza con la data degli accertamenti diagnostici che attestavano l'eziologia professionale della malattia, rilevando che anche in presenza del venir meno della permanenza dell'illecita condotta datoriale la decorrenza del termine prescrizionale esige comunque la conoscibilità dell'origine professionale della patologia)”.

Avvocato, laureata con lode in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II. Ho poi conseguito la specializzazione presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali, e sono stata collaboratrice della cattedra di diritto pubblico comparato. Sono autrice e coautrice di numerosi manuali, alcuni tra i più noti del diritto civile e amministrativo. Sono inoltre autrice di numerosi articoli giuridici, e ho esperienza pluriennale come membro di comitato di redazione. Per Lexplain sono editor per l'area "diritto" e per l'area "fisco". Sono mamma di due splendidi figli, Riccardo, che ha 17 anni e Angela, che ha 9 anni.
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