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17 Aprile 2024
17:00

Lavoratore in CIG, quando spetta il risarcimento per il danno alla professionalità?

Il dipendente collocato in CIG illegittimamente oppure per lunghissimo tempo spetta un risarcimento specifico in ragione del danno alla professionalità arrecatogli, oltre a quello dovuto anche per le retribuzioni perse.

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Lavoratore in CIG, quando spetta il risarcimento per il danno alla professionalità?
Dottoressa in Giurisprudenza
Lavoratore in CIG, quando spetta il risarcimento per il danno alla professionalità?

La Corte di Cassazione ha recentemente fatto il punto sull’applicazione della cassa integrazione guadagni da parte del datore che intenda gestire la crisi dell’impresa.

Secondo i Giudici, infatti, al dipendente collocato in CIG illegittimamente oppure per lunghissimo tempo spetta un risarcimento specifico in ragione del danno alla professionalità arrecatogli, oltre a quello dovuto anche per le retribuzioni perse.

Il fatto

La controversia trae origine dalla contrapposizione della lavoratrice Tizia collocata in cassa integrazione e l’azienda XY Srl.

In primo grado veniva accertata l’illegittimità del provvedimento adottato dall’azienda per la sospensione dal lavoro, in ragione della violazione dei criteri necessari all’individuazione dei lavoratori da sospendere e, in conseguenza dell’accertamento, in appello veniva riconosciuto in favore della lavoratrice il diritto a un risarcimento per il danno alla professionalità.

Tale risarcimento, in via equitativa, era pari al 30% della retribuzione mensile netta che spettava alla dipendente lungo tutto l’arco di sospensione illegittima in CIG.

Inoltre, secondo la Corte d’Appello adita, il danno alla professionalità si configurava anche in relazione all’inattività forzata per non aver potuto esercitare la propria prestazione lavorativa, con il risultato di aver generato uno svuotamento delle mansioni e la conseguente spendibilità di competenze nel mercato del lavoro.

La decisione

La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con ordinanza del 16 aprile 2024, n. 10267 ha ritenuto corretto il ragionamento riconosciuto in appello, convalidandone la decisione.

I Supremi Giudici hanno provveduto a enunciare la dignità professionale come un bene immateriale la cui lesione è meritevole di un risarcimento specifico da parte del datore di lavoro.

Vediamo i due principi enucleati dalla Cassazione.

Il danno alla professionalità per l’illegittimità della CIG

Il datore di lavoro che provveda a sospendere illegittimamente il dipendente è responsabile della violazione dell’art. 2103 c.c., in tema di mansioni cui il lavoratore è adibito, ma anche del diritto fondamentale al lavoro, di cui all’art. 4 Cost.

Il lavoro deve essere infatti inteso come espressione della personalità di ciascuno, sia in termini di immagine che di professionalità.

Il danno cagionato al dipendente per l’inattività dovuta dalla cassa integrazione pone in essere una responsabilità contrattuale, in ragione della violazione delle norme del contratto di lavoro. Tale danno è differente e ulteriore rispetto a quello dovuto per le retribuzioni perse.

Il danno alla professionalità per l’inattività protratta a causa della CIG

Prosegue la sentenza resa dagli Ermellini, non può essere negato il fatto di aver causato un danno alla professionalità del dipendente per lo stato di inattività impostagli per lunghissimo tempo.

In questo modo il lavoratore viene leso a livello professionale, ovvero cagionando un depauperamento del proprio patrimonio professionale anche con conseguenze sulla sua ricollocabilità nel mondo del lavoro.

Il lavoratore svuotato delle proprio prestazioni, tipiche della qualifica cui è adibito, viene ineluttabilmente mortificato nell’immagine e nel diritto al lavoro e ciò dal momento che la dignità professionale di ciascuno è un’esigenza umana che permette di manifestare la propria utilità e attitudini.

Come provare il danno alla professionalità del dipendente

Anche in via presuntiva, l’esistenza del danno alla professionalità e quindi la sua prova può essere fondata su elementi indiziari che siano gravi, precisi e concordanti.

Così come la la qualità della prestazione lavorativa svolta e la sua quantità, la natura e il tipo di professionalità coinvolta, ma anche la durata del demansionamento e la nuova dequalificazione assunta successivamente

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Virginia Sacco
Dottoressa in Giurisprudenza
Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli - Federico II, ho seguito le mie passioni specializzandomi prima in Intelligence istituzionale e, successivamente, in Diritto dell'Unione Europea. Nel corso degli anni ho preso parte a eventi, attività e progetti a livello europeo e internazionale, approfondendo i temi della cooperazione giudiziaria e del diritto penale internazionale. Su Lexplain scrivo di diritto con parole semplici e accessibili.
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